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venerdì 15 maggio 2015

52 - “L'invenzione del cristianesimo” - Parte terza. Pietro e Paolo.

Né gli evangelisti, né Paolo, né tanto meno gli apocrifi, parlano favorevolmente di Pietro. Nella prima parte degli Atti si tratta diffusamente di lui, ma in modo leggendario per cui la sua persona storica ci risulta completamente sconosciuta, come del resto anche quella di molti altri apostoli.
Forse Pietro guidò inizialmente la nuova setta della Via (1 Cor. 15,7; Atti, 1,14)), ma quando Giacomo, fratello di Gesù, giunse dalla Galilea per unirsi agli altri apostoli che attendevano il ritorno del Risorto, costui ne divenne il capo incontrastato e Pietro passò in secondo piano. Infatti di Pietro non si accenna più negli Atti a partire dalla metà del libro, mentre si continua a parlare di Giacomo che fino al 63 fu il capo incontrastato della Chiesa di Gerusalemme.
La tradizione cattolica, che poggia le sue basi soprattutto sulla Patristica, ci ha fatto credere che tra Pietro e Paolo ci siano stati sempre dei i rapporti assidui e di stretta collaborazione.
Ma leggendo le Lettere e gli Atti, gli unici documenti che possono testimoniare la verità, ciò non risulta affatto. Gli incontri (o meglio gli scontri) tra Paolo e gli apostoli a Gerusalemme sono stati rarissimi, non più di quattro, come abbiamo narrato in precedenza, e sempre caratterizzati da ambiguità e da diffidenze reciproche.
Con Pietro, comunque, c'era stato un altro incontro ad Antiochia. Ma quello di Antiochia fu un vero e proprio scontro durante il quale Paolo accusò Pietro e Barnaba di ipocrisia e segnò l'inizio di un contrasto che si rivelò subito duro e insanabile e che fece perdere a Pietro la faccia in quanto fu costretto a sottostare alle disposizioni impartite da Giacomo (il vero primo degli apostoli).
Come si vede, incontri brevissimi, quasi sempre burrascosi per non dire drammatici. Nell'ultimo incontro, durante il quale Paolo rischiò il linciaggio, Pietro non viene mai nominato, forse perché già morto. Gli Atti tentano di occultare questo enorme e inconciliabile conflitto tra i due apostoli e la Patristica poi li ha falsamente accomunati nel martirio a Roma sotto Nerone.
La Chiesa, infine, li ha santificati nello stesso giorno, avvallando la tesi che i due hanno sempre agito in perfetta armonia. Coloro che sostengono che tra i due apostoli c'era un accordo amorevole potrebbero invocare, a loro sostegno, la Seconda Lettera di Pietro nelle quale l'apostolo nomina Paolo come un carissimo fratello (2 Pietro 3,15-16).
Ebbene, questa lettera è universalmente ritenuta un falso, e la stessa CEI, nella versione della Bibbia del 1989, la riconosce come tale, definendola un artificio letterario. Il suo autore l'avrebbe composta un secolo dopo la morte dell’apostolo e avrebbe preso in prestito il nome di Pietro per conferire allo scritto una più elevata dignità. Concludendo: non troviamo un documento, databile al primo secolo, che attesti il legame tra i due apostoli; solo la tradizione inattendibile, perché inventata, come tante altre, dai Padri della Chiesa, lo ha sostenuto con ostinazione.
Altra cosa incredibile: né Paolo, che scrisse da Roma le sue ultime lettere citando i nomi di molti dei suoi collaboratori, né gli Atti degli Apostoli, che arrivano fini al 62, accennano mai alla presenza a Roma di Pietro. Anche gli scritti cristiani fino alla metà del II secolo ignorano la questione. Infatti, il viaggio di san Pietro a Roma e la sua disputa con Simon Mago, la sua crocifissione ed altri episodi a lui riferiti, sono narrati esclusivamente in libri dichiarati apocrifi dalla Chiesa stessa, come gli Acta Petri.
Un gran numero di storici e di teologi ha negato, quindi, tout court, la presenza di Pietro a Roma.
Uno di essi, il teologo K. Heussi, già nel 1936, dopo accurate analisi dei testi antichi, l'aveva esclusa categoricamente. (K.Heussi, Die roimische Petrustradition. in Theol. Literaturzeitung, 1959, nr. 5, 359 sgg.).
Più recentemente lo storico Michael Grant (Saint Peter, Penguin Books, London, 1994) ha messo in evidenza che ci sono otto incontrovertibili motivi che negano sia la presenza romana di Pietro, sia il suo presunto status di vescovo della città. Uno di questi è che se Pietro si fosse trovato a Roma all'arrivo di Paolo (o che fosse ancora vivo il ricordo di una sua precedente venuta), Luca ne avrebbe sicuramente data menzione nell'ultimo capitolo degli Atti, come aveva menzionato gli altri incontri tra i due a Gerusalemme e ad Antiochia.
Anche il presunto ritrovamento del sepolcro di San Pietro, inteso come prova archeologica della sua sepoltura, è stato più volte annunciato e altrettante volte smentito, perché di esso non è stata trovata una traccia sicura. Quindi, la presenza a Roma e la cattedra pontificia di Pietro costituiscono uno dei falsi più vistosi della Chiesa, finalizzato a suffragare il dogma dell’episcopato universale del vescovo di Roma. Pietro quindi non fu né il primo vescovo di una presunta successione apostolica né, tanto meno, il primo papa.
La Chiesa adduce a prova del martirio di Pietro e Paolo la persecuzione subita dai cristiani nell'anno 64 da parte di Nerone in seguito all'incendio di Roma. Ma di questo martirio non c'è traccia in nessun documento storico e nemmeno ecclesiastico del primo secolo.
Secondo l'abate cattolico francese Louis Duchesne, autore di una monumentale e rigorosa storia della Chiesa (L.Duchesne, Histoire ancienne de l'Eglise, Paris, Fontemoing, 1911) e di un Liber Pontificalis (L.Duchesne, Liber Pontificalis, t. I-Il, Parigi 1886-1892. Riedizione con un terzo tomo di C. Vogel, Parigi 1955-1957), ricavati dagli archivi del Vaticano, che ricostruiscono con grande rigore storico la genealogia dei pontefici, i primi nove vescovi di Roma, compreso lo stesso Pietro, erano da togliere perché mai esistiti.
Infatti, la carica episcopale monarchica si impose a Roma soltanto nel IV secolo e per molto tempo tutti i vescovi furono considerati alla pari e nessuno di loro godette di uno stato privilegiato rispetto agli altri. Per Cipriano, Padre della Chiesa, non esisteva un vescovo dei vescovi, poiché nessuno poteva costringere all’obbedienza con autorità tirannica i propri confratelli. Solo nel IV secolo, ad imitazione dell’amministrazione imperiale romana, i vescovi dei capoluoghi delle province acquisirono il controllo dell'intera loro regione e furono chiamati metropoliti.
I metropoliti erano quattro: quello di Alessandria che controllava l'Egitto, quello di Antiochia che guidava l'episcopato siriaco, quello di Cartagine che sovrintendeva all'episcopato dell'Africa del nord, e, infine, quello romano che vigilava sulla Chiesa italiana ma non sul resto dell’Occidente.
I vescovi di Roma nei primi secoli non si interessarono mai della presunta introduzione del Primato di Pietro. Solo nel V secolo un decreto di Papa Gelasio I, inteso a stabilire l'autenticità dei 27 testi del Nuovo Testamento, decretò anche l'istituzione del primato papale su tutti i vescovi della cristianità, basandosi sul passo di Matteo: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa.... Io ti darò le chiavi del regno dei cieli; tutto ciò che legherai in terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai in terra sarà sciolto nei cieli" (Matteo 16,18-19).
Ma questo è un altro clamoroso falso, come tanti altri passi, aggiunto al Vangelo di Matteo dopo il IV secolo, quando si consolidò il concetto di Chiesa, travasando in essa l’intero edificio giuridico romano. Al tempo di Matteo, ovviamente, nessuno era a conoscenza di questa istituzione non ancora inventata. Quindi il papato non deriva da questo passo del Vangelo di Matteo, unico dei Sinottici a riportarlo, quantunque anche Marco e Luca narrino la medesima scena (Marco 8:27-30 e Luca 9:18) .
Se fosse vero che Gesù intendeva fare di Pietro "il primo papa", ci sarebbe almeno qualche allusione negli Atti degli Apostoli, nelle Lettere di Paolo, o nel resto del Nuovo Testamento. Invece in questi testi non risulta nemmeno una sola volta  che Pietro abbia esercitato nella Chiesa primitiva una funzione di comando. Anzi, quando si riunisce il primo Concilio a Gerusalemme, questo viene presieduto da Giacomo, uno dei fratelli di Gesù, e non da Pietro, che pure era presente. Solo con Gelasio I si può, quindi, ipotizzare l'istituzione del papato. Il termine papa (padre), inizialmente titolo onorifico di tutti i vescovi per parecchi secoli, solo con l’inizio del secondo millennio diventò prerogativa esclusiva del vescovo di Roma.
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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)