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martedì 19 maggio 2015

53 - “L'invenzione del cristianesimo” - Parte terza. Fine dei cristiano-giudei.

La Chiesa di Gerusalemme, dopo un lungo periodo di tranquillità, durante la quale aveva goduto dell'appoggio di molti farisei e soprattutto del popolo che la stimava per la sua alta pietà e per il suo continuo prodigarsi a favore dei poveri, ricevette nel 63 un durissimo colpo con la lapidazione di Giacomo, fratello del Signore, suo capo incontrastato fin dalla morte di Gesù, nonché nemico implacabile di Paolo. La sua morte sembrò a tutti un autentico omicidio su commissione.
Mentre, come faceva più volte al giorno, si recava al Tempio per pregare, Giacomo fu aggredito per la via, gettato dalle mura e lapidato. Il sommo sacerdote Anania ne aveva ordinato l'uccisione, tra l'indignazione popolare, poiché Giacomo aveva pubblicamente osannato al fratello crocifisso come al figlio di David. Quindi la sua fine fu ignominiosa e crudele come quella del congiunto. S. Brandon, analizzando le cause che determinarono la lapidazione di Giacomo fratello di Gesù, giunge alla conclusione che queste andavano ricercate nell'affiliazione del basso clero coi cristiano-giudei, e quindi col contagio da esso subito dallo zelotismo che alimentava le attese messianiche riguardo a Gesù (la parusia). Difatti fu proprio il basso clero a far scoppiare nel 66 d.C. la ribellione contro Roma, rifiutando di offrire nel Tempio sacrifici all'Imperatore. La lapidazione di Giacomo fu quindi voluta dall'aristocrazia sacerdotale per mantenere lo status quo, minacciato dai cristiano-giudei.
Secondo Giuseppe Flavio in quel periodo la situazione degli ebrei della Palestina peggiorava di giorno in giorno. Il paese era pieno di bande di zeloti, di ribelli e di sicari che creavano subbugli e infiammavano le moltitudini alla rivolta. Re Agrippa II e i romani non riuscivano più a controllare la situazione e c'era nell'aria sentore di catastrofe. Nel 66, infatti, in seguito ad un'ennesima ribellione e al massacro della guarnigione romana, scoppiò la Guerra Giudaica, che si concluse nel 70 con la distruzione di Gerusalemme e lo sterminio di gran parte del popolo ebraico.
Dopo l'assassinio di Giacomo a capo della Chiesa di Gerusalemme fu eletto un cugino di Gesù, Simone figlio di Cleofa. Secondo Eusebio di Cesarea questo Simone, per intervento divino, nel 70 riuscì ad abbandonare Gerusalemme poco prima della caduta della città, e a rifugiarsi a Pella in Perea. In seguito, rientrò coi pochi cristiano-giudei superstiti. Si riformò una piccola comunità cristiana che sopravvisse, in mezzo a infiniti stenti, fino al 135, quando, nella seconda e definitiva distruzione di Gerusalemme da parte dell'imperatore Adriano, anch’essa dovette fuggire dalla città.
Sotto il nome di nazirei e di ebioniti, i pochi cristiano-giudei salvatisi con la fuga continuarono a sopravvivere in piccoli gruppi sparsi in Palestina, Siria e Asia, considerati eretici dalla chiesa trionfante di Paolo, come ci attestano i Padri della Chiesa. Essi continuarono ad usare solo il Vangelo originale degli Ebrei, in lingua ebraica, e rimasero osservanti scrupolosi della Legge, rifiutando tutte le invenzioni teologiche di Paolo. Tra di loro c'erano i discendenti di Gesù. Credevano ancora che Gesù sarebbe ritornato come Messia e Re per instaurare sulla Terra un regno millenario di pace, giustizia e prosperità. L'ultima importante incarnazione del Messia nazionale d'Israele fu quella di Bar Kochba che nel 135 d.C. determinò, con la sua insurrezione, la seconda e definitiva distruzione di Gerusalemme e della Palestina. L'imperatore Adriano, di fronte a quell'ennesima rivolta, pensò bene di risolvere il problema alla radice. Ordinò di cancellare a Gerusalemme e nella Palestina ogni traccia che si riferisse all'ebraismo e al cristianesimo. Quindi fece spianare il Golgota, sconvolse radicalmente ogni aspetto della vecchia città santa e sulle rovine del Tempio fece erigere, come suprema profanazione, un tempio pagano con le statue di Giove Capitolino e di altre divinità.
Ciò determinò la cancellazione di tutti i monumenti religiosi ebraici e cristiani rimasti dopo la guerra del 70.
Quindi tutti i riferimenti attuali ai luoghi santi (ad esempio il santo sepolcro individuato da Elena, madre di Costantino, nel IV secolo) sono inattendibili sotto ogni punto di vista (alla luce anche delle successive stratificazioni apportate dai musulmani nel lungo periodo della loro dominazione). Furono i pellegrini e i crociati a inventarli nel Medioevo, assieme all'ubicazione della città di Nazareth.
Non pago degli stravolgimenti radicali operati a Gerusalemme e in Palestina, Adriano proibì agli ebrei, che si erano salvati nella fuga, di rientrare, pena la morte, nei loro territori e nella nuova Gerusalemme, ribattezzata Aelia Capitolina, e da allora iniziò la vera diaspora ebraica che durò fino alla nascita dello Stato d'Israele nel 1948.
I resti della nazione ebraica, scampati alla strage, furono costretti, di fronte ad un avvenimento così catastrofico, a riesaminare la loro storia. Allora divenne a tutti chiaro che il messianismo era stato una stolta, assurda e delirante chimera, dalla quale bisognava subito e definitivamente prendere le distanze, perché la sconfitta suonava come un giudizio inappellabile di Dio.
Le Apocalissi passarono subito di moda e Roma cessò di essere la grande Meretrice, la grande Babilonia assetata del sangue dei martiri e l'Impero non fu più considerato il regno del maligno e delle potenze sataniche ma l'espressione della volontà divina, cui tutti, anche i cristiani, dovevano sottostare.
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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)