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giovedì 7 maggio 2015

Il Gesù dei Vangeli era al suo tempo un anticlericale che combatteva la falsa religiosità. 211

Leggendo attentamente i Vangeli sinottici scopriamo che il Gesù da loro descritto è, inequivocabilmente, antilegalistico, anticultuale, anticlericale, e interpreta senza rispetto l’etica veterotestamentaria della Legge, contrapponendo al «Voi avete sentito», il proprio «Ma in verità io vi dico». La sua battaglia va contro qualsiasi Chiesa organizzata, diretta da una gerarchia strutturata, guidata da un sommo sacerdote e dai suoi accoliti e fossilizzata da teologi e da riti vacui, privi di autentica spiritualità.

Egli si scontrava sempre con la prassi farisaica che portava all'estremo questo tipo di falsa religiosità, rinnegata prima di lui anche dagli esseni, seguaci del «Maestro di Giustizia», ai quali Gesù si ispirava. D'altra parte per i farisei Gesù era considerato un innovatore rivoluzionario, un servitore del diavolo, un sovversivo e seduttore di Israele.

Perché tale ostilità verso un setta della quale Gesù condivideva molti aspetti? I farisei sostenevano opinioni meditate, pregevoli e addirittura idee che lo stesso Gesù andava predicando. Ma la gran parte di loro, specialmente i «separati» , (così soprannominati per la consuetudine di evitare tutti coloro che non rispettavano la pulizia imposta dal rito, le norme alimentari e purificatrici, e quindi erano considerati impuri per il culto) esigevano la correttezza formale ai dettami della Legge fino ai limiti dell’assurdo, nel modo più capzioso, riducendo la religiosità a formalità puramente esteriori e tiranniche che nulla avevano a che fare con l’etica e la religione e soprattutto con lo spirito di carità, con l'autentico amore del prossimo. La loro religiosità era soltanto esteriore, improntata all'ipocrisia e all'ostentazione.

Il Gesù sinottico era tutto l'opposto di tali comportamenti; non deviava dalle esigenze etiche fondamentali mediante sofismi dialettici, proprio perché respingeva l’insignificante e il superfluo, spesso argomento principale dei farisei. Lo irritava il pedante e vuoto formalismo, rigettava i rituali, le vacue usanze codificate, le consacrazioni, le abluzioni, i digiuni, le «pedanterie», per altro chiaramente ricollegandosi in tal modo alle tendenze già proprie degli antichi profeti. Egli scindeva nettamente l’etica dall’implicazione inutile e dannosa col culto.

Richiamandosi agli antichi profeti polemizzava aspramente contro la mera abitudinarietà rituale del clero: «Voi pulite la parte esterna, i calici e le ciotole, ma dentro siete pieni di rapina e di cupidigia!»; oppure: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lungi da me. E’ vano il culto che mi rendono con le loro dottrine, che sono precetti di uomini». E infine: «Io voglio misericordia, non sacrifici» (Mc. 7,6 sg.; Mt. 9, 13). Non si tratta di concetti nuovi, giacché erano già in Buddha e in Zarathustra, il quale condannava radicalmente i sacrifici di sangue, e si ritrovano addirittura in un antichi testi sacri egizi.


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)