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venerdì 29 maggio 2015

56 - “L'invenzione del cristianesimo” - Parte quarta - La divinizzazione di Gesù.

Con la nascita dell'impero romano l'Imperatore venne ben presto divinizzato come Redentore, come Benefattore e Salvatore dell’Umanità, come Luce del mondo e Figlio di Dio. Già Augusto fu oggetto di un simile culto ed ancor più lo divennero gli Imperatori successivi, soprattutto Claudio, Nerone, Vespasiano e Domiziano.
Questo culto dei Cesari si basava sulla credenza che nel sovrano s’incarnasse la divinità, che egli fosse il Redentore che avrebbe posto fine all’antico male del mondo e avrebbe dato inizio ad una nuova età felice, come preconizzava Virgilio nella IV Ecloga.
Quando il culto degli Imperatori, venerati come divinità e chiamati Kyrioi (Signori in senso divino) trapassò nella figura di Gesù, ebbe inizio il processo della sua divinizzazione. Gesù è chiamato «Redentore» già nella Lettera di Paolo ai Filippesi (3,20), che risale agli ultimi anni della vita dell'apostolo e venne composta a Roma, dove allora regnava Nerone, che portava il titolo di Cesare, Imperatore, Dio, Salvatore.
Fu Paolo, quindi, che per primo iniziò la divinizzazione di Gesù, trasformando la sua persona umana in un Dio sceso sulla Terra per redimere l’umanità.
Infatti, la teologia critica nega che il Gesù storico si sia attribuito i titoli messianici, come Figlio di Dio, Figlio di Davide, Figlio dell’Uomo che gli evangelisti gli assegnarono successivamente nei loro Vangeli, e mette in risalto che non fu mai oggetto di culto da parte della comunità primitiva di Gerusalemme.
Mai gli apostoli e i familiari, tra cui Giacomo suo fratello, allusero alla sua divinità. Per loro era soltanto una persona umana: un uomo privilegiato da Dio, il profeta annunciato da Mosé, il «servo» di Dio. Nei Vangeli di Matteo e Luca, invece, in seguito alle molte manipolazioni apportate, Gesù subisce una metamorfosi semidivina che diventa addirittura divina nel successivo Vangelo di Giovanni e negli Apocrifi.
Ma a smentirli provvede il Vangelo più antico, quello di Marco nel quale Gesù viene presentato sempre come uomo, ben consapevole dell’enorme distanza tra sé e la divinità, e mai concepito preesistente e identico a Dio. I due versetti che alludono alla sua divinità: “Inizio del vangelo di Gesù Cristo [Figlio di Dio]” (Marco 1,1) e «In verità, quest’uomo è stato il figlio di Dio» (Marco 15,39), sono considerati dai teologi critici assolutamente non autentici.
Infatti, Gesù in questo Vangelo non è onnipotente e onnisciente, né assolutamente buono come avrebbe dovuto essere se fosse equiparato a Dio. A Nazareth, “non poté compiere alcuna opera potente (Marco 6,5)”; a proposito del giorno del Giudizio dichiarò che nessuno ne conosceva il momento preciso, ad eccezione di Dio, «neppure il Figlio» (Marco 13, 32); ad un ricco che lo definisce «buono» risponde: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, soltanto Dio» (Marco 10,18).
Queste limitazioni apparvero funeste ad alcuni Padri della Chiesa che le negarono, considerandole un falso (Ambrogio, De fide 5,8) o le stravolsero completamente (Basilio, Epistole 236,2).
La divinità di Gesù, iniziata da Paolo ma del tutto ignorata dalla Chiesa di Gerusalemme, fu perciò imposta dalla Chiesa ellenistica di derivazione paolina e codificata come dogma, come vedremo in seguito, dal Concilio di Nicea del 325, su pressione di Costantino.
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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)