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martedì 1 settembre 2015

79- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte quinta. I dogmi. 3

Ma come nasce nella Chiesa il dogma dell'inferno? Nell'Antico Testamento l'immortalità dell'anima non era ammessa, tanto che nel Qoèlet, libro biblico considerato parola di Dio, è scritto: «La sorte degli uomini e delle bestie è la stessa, come muoiono queste muoiono quelli. C’è un soffio vitale per tutti: non esiste superiorità dell’uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità» (Qoèlet 3,19). Con la morte, quindi, secondo il teologo biblico, tutto finisce, sia l'anima sia il corpo, perché tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere.
Abbiamo chiarito in precedenza che i Sadducei, cioè l’alto clero del Tempio di Gerusalemme detentore dell'ortodossia ebraica, sostenevano che Mosè non aveva mai parlato né dell'immortalità dell'anima né della "resurrezione dei morti", e non credevano nella perpetuazione dell'individuo dopo la morte, in corpo e spirito. Quindi, per loro, non esisteva un aldilà dove le anime sarebbero state punite con l'inferno o premiate col paradiso.
Solo nel Nuovo Testamento nasce il concetto di questo luogo eterno di pena e viene associato alla "Geenna", una valle presso Gerusalemme che era adibita a discarica pubblica, dove ardeva sempre il fuoco per bruciare i rifiuti della città e i cadaveri degli appestati. Essendo un luogo orrido, maleodorante e sempre in preda alle fiamme, si era trasformata, a poco a poco, nel simbolo dell’inferno.
Le Lettere di Paolo, dalle quali derivano i Vangeli canonici, ignorano l’inferno come eterno castigo. Ma nei Vangeli, posteriori alle Lettere di Paolo, troviamo che Gesù parla della Geenna, del “fuoco inestinguibile” riservato a chi sino alla fine della vita rifiutava di credere e di convertirsi.
Matteo nel suo Vangelo dice che Gesù “manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridor di denti” (Matteo 13,41-42), e riporta le parole di condanna: ‘Via, lontani da me, maledetti, nel fuoco eterno!” (Matteo 25,41). Molti esegeti e teologi sono però convinti che questi detti, attribuiti a Gesù, non siano mai stati da lui pronunciati (sono, infatti, in completo contrasto con lo spirito evangelico), ma aggiunti posteriormente nei Vangeli da parte della Chiesa delle origini, la quale, per spingere alla conversione i pagani ostinati, faceva leva sui castighi divini più crudeli e terrificanti. Infatti l'inferno era riservato soprattutto a chi rifiutava la conversione.
La credenza dell'inferno eterno la troviamo appena accennata negli scritti più antichi dell'età patristica, con delle perplessità da parte di alcuni Padri della Chiesa, come Origene, Gregorio di Nissa, Teodoro di Mopsuestia ed altri. Per costoro le pene dell'inferno non erano eterne, ma temporanee (una specie di purgatorio).
Infatti essi ritenevano che alla fine dei tempi, all'arrivo cioè della parusia, tutta l’umanità si sarebbe salvata in Cristo e avrebbe avuto luogo la “restaurazione finale” (apokatàstasis) di tutti gli essere umani e del cosmo. Tale salvezza avrebbe coinvolto i condannati all’inferno e perfino i demoni (Origene, De principiis).
Ma la loro tesi non fu accettata dalla Chiesa, sempre più convinta che la minaccia del tormento eterno è l'arma più potente di cui dispone per plagiare col terrore i suoi fedeli. Così nel 1215 il IV Concilio Lateranense proclamò che i peccatori "riceveranno come il diavolo una pena perpetua". Tesi ribadita successivamente nel Concilio di Firenze (1439), di Trento (1547), del Vaticano I (1870) e dal Vaticano II nel 1965 (cap. VIII, 48 della Lumen Gentium).
Oggi molti credenti, specialmente quelli che lo sono più per tradizione che per convinzione (e sono la maggioranza), cominciano a rifiutare questo terrore infantile perché ritengono che nessun Dio, ammesso che ne esista uno, possa comminare all'uomo (teoricamente una sua creatura) un castigo così spropositato. Ma la Chiesa ufficiale, tuttora invischiata nel suo dogmatismo medievale, persiste nel farlo credere senza avvertirne la demenziale assurdità.
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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)