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martedì 15 settembre 2015

83- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte sesta. L'ascetismo. (Parte prima)

Tutte le religioni, nate dalla parte più irrazionale dell'uomo, sono impregnate di perversioni e di superstizioni che generano orripilanti obbrobri. Ma di esse è il il cristianesimo che ha saputo elaborare, più di ogni altra religione, queste forme ignominiose che rasentano in molti casi la demenzialità. Eppure, milioni di cristiani, specialmente cattolici, accettano queste mostruosità senza avvertire né il ridicolo, né l'assurdo, tanto profondo è il plagio cui sono stati sottoposti, fin dalla prima infanzia.
Cominceremo ad analizzare questi obbrobri dall'ascetismo, vera e propria follia auto-punitrice che nel passato, specie nel Medioevo, ha tormentato milioni di cristiani; poi tratteremo degli pseudo-miracoli, falsamente attribuiti alla onnipotenza divina, e, infine, del culto delle reliquie che segna il culmine del feticismo, della superstizione e della necrofilia.
La parola ascetismo (dal greco áskesis: esercizio, allenamento), era in origine riferita all’ambito atletico, inteso come irrobustimento del corpo. Ma con Platone questo termine mutò completamente significato, e con un totale capovolgimento semantico prese ad indicare il ferreo dominio delle passioni, la mortificazione del corpo, la rinuncia ad ogni forma di mondanità e di gioia di vivere.
Nella Chiesa primitiva, e per tutto il Medioevo, la fuga dal mondo, l’astinenza, la rinuncia ai sensi e alla corporeità, la mortificazione più ossessiva, una vita ininterrotta di penitenza e di pensieri fissati sul mea culpa, erano l’imperativo categorico non solo di molti ecclesiastici ma anche del popolo minuto. San Basilio, dottore della Chiesa, proibiva ai cristiani qualsiasi divertimento, anzi persino il riso e le gioie più innocenti della vita. San Gregorio di Nissa paragonava l’intera esistenza umana ad un “letamaio” e considerava peccaminoso anche odorare il profumo di un fiore o contemplare la bellezza di un tramonto.
Per tutto il Medioevo cristiano l’ideale più elevato, inteso come precetto divino, era un’esistenza ostile al corpo e agli istinti naturali, anche più comuni e sani, come il nutrirsi e le pratiche di erotismo. Anzi, tutto quanto apparteneva al sesso, era considerato peccaminoso in sommo grado. Mentre era considerato santo ciò che patologicamente rinnegava ogni forma di piacere: l’astinenza, i lunghi digiuni, i torrenti di lacrime, la sporcizia, la veglia forzata, e tutti gli eccessi masochistici della fustigazione. In altre parole: la rinuncia totale ad ogni gioia di vivere e la demonizzazione del corpo. Per molti storici l’Europa medievale assomigliava quasi a un enorme manicomio. Il disprezzo del corpo, «considerato un immondezzaio, qualcosa che ti fa schifo al solo pensarci» secondo Giovanni d’Avila, dottore e santo della Chiesa, era tale che innumerevoli monaci lo trascuravano completamente, lasciandolo denutrito, sporco e irsuto. San Francesco addirittura considerava come fratelli i pidocchi, compiacendosi di averne in grande abbondanza per il corpo.
Dalle cronache del tempo sappiamo che, nel Medioevo. tutti si lavavano poco, ma che gli asceti erano inavvicinabili per il fetore che emanavano. Non solo loro, ma anche i grandi ecclesiastici, non si lavavano mai per non dover toccare le loro parti intime, da loro dette le “pudenda”, durante il bagno, e cadere in tentazione.
Santa Caterina da Siena insegnava, infatti, che i lavamenti del corpo non erano propri della sposa di Cristo (il quale, durante gli amplessi mistici, doveva turarsi il naso). Naturalmente usavano anche poco forbici e rasoi per cui avevano l'aspetto dei nostri barboni. Tanto erano puliti e curati i pagani antichi, tanto erano sporchi e irsuti i cristiani di tendenza ascetica.
In un contesto simile la donna era vista come una tentazione, il mondo come una valle di lacrime e la vita come una perenne mortificazione. Gli storici ci raccontano che, nei primi secoli del cristianesimo, molti monaci ed eremiti che vivevano in Siria e in Mesopotamia, erano nudi o vestiti di stacci e si nutrivano esclusivamente brucando l’erba, come ci racconta lo storico Sozomeno (Storia della Chiesa 7,15).
In Etiopia, gli eremiti del territorio di Chimezana erano diventati così concorrenti con le capre del luogo che i pastori si videro costretti a ricacciarli nelle loro spelonche, dove morirono di fame. Sappiamo che nel VI secolo un anacoreta, che viveva presso il Giordano, era da tutti conosciuto come Pietro il Pascolatore e che Apa Sofroniade, un altro anacoreta dello stesso periodo, brucò per settant’anni, nudo, sulle rive del Mar Morto.
Ma ci sono testimonianze di un ascetismo inimmaginabile che ci riempiono di orrore e di ribrezzo. Ecco alcuni esempi.
Santa Margherita Alacoque, vissuta nel XVII secolo, nella sua autobiografia ci narra che, per penitenza, beveva, con somma sua delizia, soltanto l’acqua usata nel lavaggio dei panni sporchi, mangiava pane ammuffito e non disdegnava le feci degli ammalati di diarrea. Fu fatta santa da papa Pio IX, forse come protettrice dei coprofagi. Un’altra santa, Sant’Angela di Foligno (XIII secolo) beveva l’acqua con la quale aveva lavato i lebbrosi. Santa Caterina da Genova (XVI secolo) leccava con la sua lingua la sporcizia dagli abiti dei poveri, inghiottendo sterco e pidocchi. Più che di asceti, qui siamo di fronte a degli psicotici demenziali."L'invenzione del cristianesimo " ebook € 1,99 (store: Amazon, LaFeltrinelli, Kobo, Internet Bookshop Italia, Bookrepublic Store, etc...)


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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)