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giovedì 24 settembre 2015

L'eucaristia deriva dagli antichi riti del cannibalismo rituale. 229

Tutte le religioni antiche, nella loro primitiva formulazione, si basavano sul convincimento che l'uomo poteva unirsi col suo dio mangiandolo e bevendolo per ottenere le sue energie soprannaturali, seguendo un rituale preciso. Anche nelle forme cultuali più rozze i teologi moderni hanno saputo scorgere una sorta di anticipazione dei misteri cristiani, non escludendo nemmeno l’antropofagia, un tempo diffusa in tutto il mondo.

In effetti i cannibali, che hanno fatto il loro ingresso nella storia in un’epoca già evoluta dello sviluppo del concetto di religione, di regola divoravano membra umane non per sete di vendetta o per istinto ferino, ma perché erano convinti di acquistare le particolari energie fisiche e spirituali della vittima, come quei selvaggi che credono di impadronirsi della forza di un orso, mangiandone le carni.

Fin dai primi tempi i dell’antico Egitto si mangiavano gli dei per conquistare vita e forza, come dimostra inequivocabilmente l’inno cannibalesco che illustra l’ingresso del defunto re Unas, come leggiamo in una delle più celebri iscrizioni delle piramidi egizie:

«I suoi servitori hanno catturato gli Dei con le sagole (corde di canapa), li hanno trovati buoni, li hanno trascinati via, li hanno legati, li hanno sgozzati e ne hanno tratto fuori le interiora, le hanno tagliate e le hanno cotte in pentole ribollenti. E il Re divora la loro forza e mangia le loro anime. I grandi Dei sono la sua colazione, i mediocri il suo pranzo, i piccoli la sua cena Il Re divora tutto quel che gli capita. Avidamente tutto inghiotte e la sua forza magica diviene più grande di ogni forza magica. Egli diventa erede della potenza, il più grande di tutti gli eredi, e diventa il Signore del cielo; egli ha mangiato tutte le corone e tutti i bracciali, egli ha mangiato la sapienza di tutti gli Dei».
Successivamente, con lo scemare dell'istinto cannibalesco, al posto del dio si è mangiato per lungo tempo il corrispettivo dio-animale (agnello, toro o pesce) e, infine, quasi tutte le religioni, si sono orientate a celebrare la comunione sacrale usando soltanto il pane e il vino.

Presso gli antichi greci l’idea di un pasto celeste, in grado di procurare la vita eterna, risale a Omero. Nel mito di Dioniso i Titani fanno a pezzi il divin bambino, divorandone le membra, e nel suo culto venivano uccisi un capriolo e un capretto, poi divorati come carne del dio. Il pasto sacro nella religione di Attis era già costituito, però, da pane e da vino.

I sacerdoti siriaci,invece,mangiavano la divinità, nutrendosi di pesci. In seguito il pesce, contrassegno mistico di misteri pagani ampiamente diffusi, divenne il simbolo del più sacro mistero cristiano, cioè dell’eucaristia, che fu quindi «il vero mistero del pesce», «l’unico pesce puro».


E per l’appunto l’assunzione del pesce come simbolo cultuale ebbe luogo dapprima proprio ad opera dei cristiani di Siria, dove la venerazione dei pesci era diffusissima. Il termine greco per indicare il pesce, Ichthys, costituì l’acrostico della definizione del Cristo come «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore» (Jesous Christos THeou Yios Sotér). 

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)