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venerdì 2 ottobre 2015

83- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte sesta. Le reliquie (Parte seconda)

Altre fantasiose reliquie si aggiunsero successivamente: due asciugamani usati da Gesù per la lavanda dei piedi degli apostoli (uno in Laterano e un altro in Germania ad Acqs), alcuni pannolini del Bambin Gesù (Aquisgrana), la sacra culla e la mangiatoia (Santa Maria Maggiore a Roma), una ciocca di capelli di Maria e ampolle del suo latte (Messina), frammenti del velo della Madonna e della veste di San Giuseppe (Santa Maria di Licodia), frammenti del bastone di San Giuseppe (in molte chiesa di Roma e Bologna).
A Verona si conservano le reliquie dell'asino delle palme e a Colonia pezzi del suo sterco. Nel Medioevo, a Gaming in Austria, nella festa delle reliquie celebrata il 5 novembre, oltre la greppia e i pannolini di Gesù si potevano venerare i resti del pasto dei cinquemila narrato nei Vangeli e frammenti del pane mangiato durante l'Ultima Cena, ampolle col sangue dei bambini uccisi da Erode durante la strage degli innocenti e una ciocca dei capelli della Maddalena.
Nella cappella del castello di Wittemberg, al tempo del principe Federico III, si potevano venerare membra del corpo di Lazzaro, pelli dei bambini uccisi da Erode, il pollice destro di Sant'Anna, alcune ossa di San Paolo, del pane piovuto dal cielo ai figli d'Israele nel deserto durante l'Esodo, tozzi di pane dell'Ultima Cena, alcuni ramoscelli del roveto ardente di Mosè e, perfino, tre ampolline del latte della Vergine Maria. Ma non è finita.
Del Battista conserviamo molte assurde e inverosimili reliquie: la testa decapitata (San Silvestro in Capite a Roma), un braccio (Cattedrale di Siena), il mento (San Lorenzo di Viterbo), un dito (Duomo di Firenze) e le ceneri (San Lorenzo di Genova). Molto venerate fin dal XII secolo le presunte spoglie dei tre Re Magi (dove mai saranno andati a pescarle?) oggi conservate in parte a Colonia e in parte a Milano.
Ma la reliquia delle reliquie, che fino a qualche mezzo secolo fa faceva andare in delirio orgasmico e in deliquio gran parte delle vergini consacrate a Dio nel chiuso dei monasteri, scatenando la loro libidinosa fantasia, nonché molte sante e non pochi papi ed ecclesiastici, fu il santissimo prepuzio di Gesù. Il destino di questa sacra pellicina del pene che Gesù aveva dovuto perdere con la circoncisione nell'ottavo giorno dalla nascita, aveva preoccupato non poco numerosi Padri della Chiesa. Poi Carlomagno risolse il problema rivelando di averla ricevuta direttamente da un angelo e, con somma magnanimità, la offrì in dono a papa Leone III.
A questo punto avvenne il miracolo della moltiplicazione dei prepuzi divini, per cui oggi ben tredici luoghi vantano il possesso di questo prezioso pezzo d’antiquariato prepuziale tra cui Calcata (VT) (dove fino a pochi decenni fa, veniva esposto alla pubblica adorazione nel giorno di Capodanno, ricorrenza della circoncisione, nella Chiesa parrocchiale) e Roma (Laterano) e altre undici città europee.
Il culto di questa “santissima reliquia”, che potrebbe regalarci il Dna di Gesù (ma troveremmo sicuramente tredici Dna diversi), fu molto diffuso nel Medioevo, tanto che nel 1427 venne persino fondata la Confraternita del Santo Prepuzio. La sacra pellicina, cui erano attribuiti effetti miracolosi sul parto, fu oggetto di continui pellegrinaggi di donne incinte e di solenni uffici in suo onore.
Mentre colti Padri della Chiesa e dotti teologi almanaccavano, con somma dottrina, su questa reliquia (Cristo, dopo la resurrezione, era asceso al cielo in corpo e spirito con o senza il prepuzio che gli era stato tolto 33 anni prima?), le giovani vergini rinchiuse nei chiostri, bramose degli abbracci del loro dolcissimo e amatissimo Gesù, la eleggevano a loro anello di fidanzamento. Santa Caterina da Siena, nei suoi momenti mistici mostrava rapita al suo confessore incredulo (perché non lo vedeva) il prepuzio che portava al dito, regalatole da Gesù in persona, affermando che per lei era perfettamente visibile. Un autentico delirio erotico!
Oggi questa santissima reliquia non è più oggetto di morbosa venerazione perché la Chiesa, nel 1900, in un raro momento di resipiscenza, resasi conto dell'aberrazione demenziale in cui era caduta, ha vietato a chiunque di scrivere o parlare del Santo Prepuzio, pena la scomunica (Decreto no. 37 del 3 febbraio 1900), e successivamente ha rimosso dal calendario liturgico la festività della Circoncisione, precedentemente celebrata in tutto il mondo il primo gennaio di ogni anno.
Spesso alle reliquie erano associate particolari indulgenze. Così i pellegrini che nel Duecento si recavano a Roma in San Pietro per venerare l'immagine di Cristo impressa sul presunto sudario di Veronica, guadagnavano da novemila a dodicimila anni di purgatorio.
L’epoca d’oro del culto delle reliquie fu certamente il Medioevo. Il Boccaccio nel suo Decameron, nella novella che vede Frate Cipolla come protagonista, ci illustra in modo memorabile la credulità popolare del suo tempo attorno alle reliquie e l’uso strumentale che gli ecclesiastici senza scrupoli ne facevano. Ma questo culto è sempre perseguito, raggiungendo talora forme inimmaginabili di feticismo necrofilo.
A questo proposito vale la pena di ricordare quanto accadde, quattro secoli fa, al cadavere del cardinale Roberto Bellarmino (il grande inquisitore che condannò Galileo e Giordano Bruno), morto in odore di santità.
Il Vaticano per placare il popolino che, in preda a morbosa esaltazione richiedeva una reliquia dell'ecclesiastico defunto, prima fece distribuire la biancheria del cardinale fatta in minuscoli pezzetti, poi, non bastando questo a placare il fanatismo popolare, ordinò di sezionarne parte del cadavere del futuro santo per consentire a chiunque di avere qualche minuscolo brandello della sua carne. Una forma di delirio collettivo.
A conclusione di questo capitolo risulterà chiaro a chiunque che gran parte delle reliquie e dei luoghi di culto della Terra Santa nonché tutti i miracoli, altro non sono che colossali bufale della Chiesa che alimentano invereconde forme di feticismo, di superstizione e di dabbenaggine ma anche colossali business a tutti i livelli.
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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)