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martedì 27 ottobre 2015

95- “L'invenzione del cristianesimo” - Parte ottava. Lo schiavismo.

Mentre Gesù, stando ai Vangeli, non giustificò la schiavitù in nessun passo, anzi tutto lo spirito della sua dottrina considerava gli uomini uguali e fratelli, la Bibbia ebraica permise agli ebrei di possedere schiavi, raccomandando però di acquistarli dagli stranieri (Levitico 25,44-46).
L’unica vera limitazione che Jahvè suggeriva, non per pietà ma per non danneggiare un bene tanto prezioso, era quella di non picchiarli così duramente da recar loro danno agli occhi o ai denti (Esodo 21). La Bibbia è così aberrante che arriva al punto di consentire ad ogni ebreo di vendere la figlia come schiava per motivi sessuali.
In pieno accordo con questo libro immorale, ma in completo disaccordo con Gesù, Paolo predicò che ciascuno deve restare nella condizione nella quale si trovava e, se schiavo, doveva rassegnarsi alla schiavitù (1Corinzi 7,20 sg.). Non riteneva, dunque, la schiavitù un’ingiustizia, anzi la considerava una condizione naturale dell'uomo, tanto che nella Prima Epistola a Timoteo raccomandava agli schiavi cristiani di servire i padroni credenti con tanto più zelo, proprio in quanto cristiani (1 Timoteo 6,2).
Rifacendosi a Paolo, tutta la Chiesa antica ha energicamente scoraggiato e impedito le tendenze emancipatrici degli schiavi. La Prima Epistola di Pietro segue le stesse direttive e impone agli schiavi obbedienza, anche di fronte ai padroni crudeli e a dure punizioni corporali.
I Dottori della Chiesa del IV e del V secolo sono concordi nel riconoscere la validità della schiavitù. Ambrogio la definisce «un dono di Dio» (Ambrogio, De paradiso 14,72), Giovanni Crisostomo prospetta per gli schiavi un aldilà più radioso dei loro padroni (Crisostomo, homelia 22), e Agostino ritiene la schiavitù fondata sulla naturale ineguaglianza degli uomini (Agostino, Ennarationes in psalmos 124,7).
Nei primi due secoli chiunque, anche gli schiavi, potevano ricoprire incarichi ufficiali nella Chiesa, ma nel 257 papa Stefano I proibì loro il sacerdozio e l'episcopato. I papi, divenuti fin dal V secolo grandi proprietari terrieri, si servirono di un gran numero di schiavi, che consideravano come «bene inalienabile della Chiesa», per coltivare i loro immensi latifondi, e altrettanto fecero molti antichi monasteri.
Ma la Chiesa ha anche saputo creare forme nuove di schiavismo. Nel IX Concilio di Toledo del 655, dovendo combattere la dilagante lussuria del clero, decretò che tutti i figli generati dagli ecclesiastici, dai vescovi ai suddiaconi, diventavano per sempre schiavi della Chiesa. Così, durante tutto il Medioevo e fino ai tempi moderni, la schiavitù non fu mai condannata dalla Chiesa.
Solo nel 1839 papa Gregorio XVI, ultimo dei sovrani d'Europa, ne proclamò l'abolizione. Ma nel 1866, quando il missionario Guglielmo Massaia chiese aiuto a papa Pio IX per far cessare la schiavitù in Etiopia, si sentì rispondere dal Sant'Uffizio che non ripugnava al diritto naturale né al diritto divino che lo schiavo fosse venduto, comprato e donato. Pertanto, i cristiani potevano lecitamente possedere schiavi o essere schiavi.


Recentemente, Alessandro Corvisieri in "Chiesa e schiavitù" (Paleario Editore, Roma, 2003), con un formidabile lavoro di ricerca compiuto su testi rarissimi, alcuni dei quali introvabili persino nella Biblioteca Nazionale, ha confutato l’idea diffusa secondo cui la schiavitù sarebbe stata debellata dal cristianesimo, documentando molto bene il coinvolgimento della Chiesa nel mantenimento di questa infamia nei secoli, e ha evidenziato il lavoro di omissione e disinformazione compiuto da preti e intellettuali per nascondere le responsabilità della Chiesa Cattolica a questo proposito.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)