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domenica 15 luglio 2012

In nomine Domini 23


Stavano per accomiatarsi quando il papa, come colpito da un ricordo improvviso, gli fece cenno di attendere ancora un po'.
"Da alcuni giorni", riprese, "sono sollecitato, con una certa petulanza dal mio maestro di palazzo, ad occuparmi di una faccenda che mi è completamente oscura. Si tratta di esaminare alcuni documenti, che secondo l'eunuco Teofrasto sono d'incalcolabile interesse e che si riferiscono alla nostra santa religione. Si trovano nell'ex cenobio qui vicino, a pochi passi dal nostro palazzo, e sono custoditi da un monaco venerando chiamato Simone il Siriaco.
"Costui era stato incaricato da mia nonna Marozia a tradurre questi antichi testi, scritti in una lingua sconosciuta, nell'imminenza delle sue nozze con mio nonno Ugo di Provenza. Poi, come tu ricorderai, nonno Ugo fu cacciato da Roma e nonna Marozia finì rinchiusa per ordine di mio padre nel suo palazzo Teofilatto. Il monaco Simone rimase perciò dimenticato da tutti, nonostante le sue continue richieste di essere ascoltato per esporre il contenuto di quei documenti. Penso che, appena avrai terminato di scrivere la mia lettera, potresti occuparti di questa faccenda e riferirmi. Sei l'unico, in tutta Roma, competente a risolvere questa situazione".
Allora Ascanio si ricordò di Sofronio, il fanciullo che aveva tentato di trafugare da palazzo Laterano strani documenti antichi per un giudeo di nome Malachia.
"Ricordo vagamente l'accaduto", rispose al papa. "Quegli antichi rotoli, se non erro scritti in aramaico, erano stati rinvenuti in Laterano dal giudeo Malachia durante il restauro del palazzo, e da lui nascosti in una nicchia segreta per poter poi farli trafugare al momento opportuno. Quando fu catturato Sofronio, il giovanetto che doveva recuperarli, Malachia, sentendosi scoperto, fuggì subito dalla città travestito da monaco, e si rifugiò presso i saraceni di Frassineto.
"Malachia non era un giudeo ebreo ma cristiano, non però cristiano della Santa Romana Chiesa, ma cristiano eretico della setta degli ebioniti o nazirei che i Padri della Chiesa hanno combattuto aspramente. Forse quei documenti riguardano questa particolare eresia e sarebbe quindi opportuno che vostra Santità li esaminasse per poi decidere della loro sorte. Se risultassero nocivi alla nostra santa religione, vostra Santità avrebbe l'obbligo di farli distruggere, come fecero i Padri della Chiesa che mandarono al rogo tutti quegli scritti dei primi cristiani che erano in contrasto con l'ortodossia della fede. Tutto quanto può insinuare dubbi o incertezze sulla nostra santa religione, in nomine Domini deve essere distrutto; viceversa, tutto quanto, anche se inventato, come i diplomi di donazione di Costantino e di altri imperatori e forse le decretali di Leone IV, serve ad accrescere il dominio e la potenza di San Pietro, va difeso strenuamente".
"Ho capito", rispose il papa contrariato, "mi dovrò occupare anche di questa faccenda. Domani, dopo che avrò approvato la bozza della lettera che avrai scritto per l'imperatore, mentre il tuo amanuense la ricopierà noi due andremo dal monaco Simone a vedere di che si tratta e prenderemo una decisione".

Mentre Ascanio leggeva, con estrema lentezza, perché ne venissero soppesate bene le parole, la lettera che aveva preparato per Ottone, il giovane papa si sentì invadere da due opposti sentimenti: uno, di profonda ammirazione per la nobiltà e la raffinatezza dello stile usato dal diacono nell'esporre il riconoscimento dei molti e ripetuti tradimenti effettuati e i suoi propositi di ravvedimento, resi con parole persuasive e toccanti; l'altro, di intimo, accorato furore, al sentire esposta con spietata durezza e senza nessuna attenuante, la sua ignominiosa condotta privata. Consapevole però che la lettera avrebbe provocato nell'imperatore, e ancor più nella sua giovane e augusta consorte Adelaide, un forte sentimento di pietà e di clemenza nei suoi riguardi, con grande eroismo trattenne la rabbia e la vergogna che gli ribollivano dentro e con il nodo alla gola e le lacrime agli occhi dichiarò che venisse subito trascritta nella pergamena e sottoposta al più presto alla sua firma.
Non c'era nulla da aggiungere e nulla da togliere, disse al diacono, incredulo per quell'assoluta accondiscendenza papale. Ascanio s'era aspettato una forte e puntigliosa rimostranza e perciò aveva calcato i toni, convinto di doverli in parte attenuare; invece tutto era andato liscio come l'olio. Il giovane papa, passato l'attimo di sgomento, s'era subito sentito sollevato e aveva in breve ripreso il suo umore allegro e gioviale. Stava acquisendo la certezza che la riconciliazione con l'imperatore fosse orma alla portata di mano e che, con il diacono ritornato al suo fianco, avrebbe rimediato a tutti gli errori del passato. Avrebbe voluto festeggiare il suo nuovo stato d'animo con le favorite che lo attendevano ansiose nel suo harem, che lui chiamava, come i saraceni, "il santuario", ma aveva promesso ad Ascanio di esaminare gli antichi rotoli custoditi dal venerando Simone. Perciò s'avviò con lui nell'ex cenobio che sorgeva quasi a fianco del Laterano e che era stato trasformato nell'archivio di Stato.

Quando vide giungere il piccolo corteo papale, scortato dalle guardie, il maestro di casa per poco non svenne dell'emozione. Si prostrò a baciare la sacra pantofola del papa, fece un profondo inchino al diacono Ascanio, che conosceva da vecchia data, e senza indugio condusse gli illustri ospiti al piano superiore dove alloggiava il monaco Simone. Il quale, ignaro di quanto stava accadendo, se ne stava seduto al suo tavolo ad ascoltare la lettura di un dialogo di Platone che Adeodato, ormai esperto conoscitore del greco, gli leggeva con voce sommessa.
Il vecchio canuto e venerando, così immerso nell'ascolto della lettura da non accorgersi quasi dell'arrivo degli ospiti, fece subito una viva impressione al giovane papa. La sua austera figura e la dolce spiritualità che emanava dal volto, gli ispirarono una viva ammirazione e una fortissima simpatia. Lo colpì anche la serena atmosfera del luogo, così avvolto com'era da un ovattato silenzio e arredato da pochi mobili austeri, ma arricchito di tanti rotoli e codici negli scaffali.
Simone, strabiliato per quella improvvisa apparizione, pur intuendo di aver davanti a sé dei personaggi illustri, in un primo tempo rimase muto e senza parole, ma vedendo Adeodato, che aveva riconosciuto subito il papa avendolo visto più volte in Laterano, prostrarsi per baciargli la sacra pantofola, intuì che aveva davanti a sé il capo della cristianità e tentò di ripetere a sua volta il gesto di Adeodato. Ma il suo corpo, ormai anchilosato dagli anni, non glielo permise, e sarebbe caduto rovinosamente a terra se il papa non lo avesse amorevolmente soccorso per sorreggerlo. Con un amabile sorriso lo accompagnò quindi alla sedia e gli rivolse la parola dicendogli: "Tu sei il venerando monaco Simone, detto il Siriaco, che da molti anni, ignorato dal mondo, vive in questa cella con l'incarico di custodire e tradurre importanti e preziosi documenti antichi della cui esistenza sono venuto a conoscenza solo di recente. Io e il diacono Ascanio, appena messi al corrente della situazione, siamo accorsi per ascoltarti. Siamo ansiosi di scoprire il contenuto di questi misteriosi rotoli".
"Ringrazio vostra Santità per il grande onore che mi sta facendo e ancor più perché si degnerà di ascoltare le mie umili parole", rispose il monaco con grande umiltà, non appena i due illustri ospiti si furono accomodati davanti a lui. Nonostante la vista appannata trovava il papa giovanissimo, quasi fanciullo, e ciò, anche se gli era noto da tempo, lo rendeva strabiliato e sgomento.
"Il contenuto dei preziosi documenti che mi furono affidati", riprese Simone, mentre Adeodato allineava i due rotoli sulla scrivania, "è molto complesso e la sua esposizione, anche sommaria, richiederà molto tempo e susciterà in vostra Santità e nel diacono Ascanio non poche perplessità".
Intanto il giovane papa, incuriosito, aveva afferrato a caso un rotolo di papiro e non conoscendone la scrittura, lo stava osservando alla rovescia, suscitando, per il suo modo maldestro di maneggiarlo, non poca apprensione sia in Simone, sia in Ascanio. Per fortuna la curiosità del giovane papa si esaurì ben presto, senza danni per il fragilissimo papiro.
"Per oggi", fece il papa amabilmente, "ci esporrai una visione d'insieme del contenuto di questi documenti e caso mai nei prossimi giorni approfondiremo con calma i singoli argomenti". Non gli dispiaceva, infatti, l'idea di ritornare in quel luogo, così accogliente per lui, e riascoltare il simpatico monaco.
"Dei due rotoli scritti interamente in aramaico, l'antica lingua di Gesù, uno si riferisce al primitivo Vangelo degli Ebrei, molto diverso, come vedremo, dai nostri quattro Vangeli canonici, e l'altro ricalca, con notevoli differenze, gli Atti degli Apostoli. Dirò subito che quello che emergerà, soprattutto dal Vangelo degli Ebrei, susciterà in ciascuno di voi una forte contrarietà perché apparirà come una sconfessione, quasi assoluta, del nostro cristianesimo", iniziò Simone con estrema schiettezza. A queste parole il giovane papa e Ascanio si guardarono sconcertati.
"Probabilmente", intervenne il diacono dopo aver superato lo sconcerto iniziale, "si tratta dello stesso Vangelo che l'apostolo San Paolo aveva chiamato, nelle sue Lettere, Vangelo Maledetto e che i Padri della Chiesa hanno fortemente contrastato e alla fine deciso di distruggere, perché in netto contrasto con la nostra santa fede, come avevo anticipato a vostra Santità. Si tratta del cosiddetto Vangelo degli Ebrei, conosciuto anche come Vangelo degli Ebioniti o dei Nazirei", proseguì il diacono. "Ireneo, Teodoreto ed Eusebio di Cesarea, sommi Padri della Chiesa, hanno detto di questo Vangelo che era incompleto, alterato e mutilato e dava una visione distorta del Signore; inoltre accusava San Paolo di essere un apostata della Legge e un uomo di menzogna".
"Esattamente", esclamò Simone, sorpreso per le conoscenze del diacono Ascanio. "Il nocciolo fondamentale di questo Vangelo è che Gesù non era il figlio di Dio, incarnatosi per redimere l'umanità dal peccato e portarla alla vita eterna, come sostengono i nostri Vangeli, ma semplicemente il Messia, discendente carnale di Davide, il quale in ottemperanza alla profezia di Isaia, doveva liberare Israele dalla schiavitù politica, scacciando gli oppressori romani e poi instaurare il regno di Dio in Terra".
"Immagino che le conseguenze derivanti da questa premessa che rinnega il ruolo salvifico di Cristo, siano, a dir poco, devastanti", sbottò il diacono, aprendo le braccia sconsolato.
"Più che devastanti, catastrofiche per il nostro cristianesimo", rispose prontamente il monaco. "Affermando che la condanna a morte di Gesù non avvenne per motivi religiosi: l'accusa di blasfemia, ma per motivi esclusivamente politici: insurrezione armata contro i romani, cade ogni presupposto per riconoscere l'immolazione di Gesù sulla croce e quindi la sua origine divina, e vengono smentite molte altre cose che contengono i nostri Vangeli, come la verginità di Maria, l'istituzione dell'eucaristia, solo per citarne alcune".
"Una disfatta totale per la nostra santa religione se questi documenti sono attendibili", intervenne il giovane papa con espressione desolata.
"Ma come è stato possibile, allora, se quanto ci vai esponendo rappresenta la verità, aver creato questa immane mistificazione religiosa che va sotto il nome di cristianesimo?", si chiese Ascanio, ancora incredulo delle parole del monaco.
"La risposta a questa domanda la troviamo in questo secondo rotolo" intervenne prontamente Simone, agitandolo davanti a loro, "che narra le vicende dei primi cristiani di Gerusalemme e i forti contrasti che opposero Giacomo, fratello del Signore, a San Paolo. In esso viene evidenziato che quanto sostengono i nostri testi canonici, che noi consideriamo rivelati da Dio, è tutto falso e interamente inventato da Paolo di Tarso, il nostro San Paolo, definito più volte, in questi scritti, apostata della Legge ebraica e uomo di menzogna".
"Insomma, tutta la nostra santa fede sarebbe interamente una colossale macchinazione", sbottò il papa tra lo sbigottito e il divertito. Ormai la cosa per lui stava assumendo toni grotteschi.
"Stando a questi testi, che io ritengo assolutamente attendibili, parrebbe proprio di sì", rispose il monaco. "Quando poi li esamineremo in dettaglio, la falsità del cristianesimo vi apparirà in tutta la sua evidenza".

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)