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domenica 29 luglio 2012

In nomine Domini 25


Durante il ritorno Giovanni XII non riusciva a nascondere il suo sollievo per come si stavano mettendo le cose ed era diventato euforico e ciarliero, com'era spesso nel suo costume.
"Perché non torni a vivere in Laterano nelle tue vecchie stanze di una volta, in modo che ti abbia a portata di mano quando mi servi?", chiese inaspettatamente ad Ascanio, il quale non si aspettava una proposte del genere. "Sai bene che ho licenziato il nobilastro Macuto, avendo capito che è stato un perfido consigliere". Sentendo in cuor suo di aver la conciliazione con l'imperatore a portata di mano, stava maturato il proposito di riavere il diacono costantemente al suo fianco, come ai tempi migliori.
E di fronte al silenzio di Ascanio: "Perché ti ostini a voler rimanere in quel tuo orto solitario?", riprese con una punta di stizza. "Mi piacerebbe tanto una volta venirlo a vedere per capire che cos'ha di così importante per te. Ho sentito che hai al tuo servizio solo un vecchio ungaro e una fantesca decrepita. Come puoi vivere in quel modo, senza domestici e senza protezione. Sai bene che Roma è piena di briganti che non esitano un attimo ad ammazzarti anche per una manciata di spiccioli. Il loro capo è un certo Saracino che non ha paura neanche del diavolo. Anzi, pare che sia proprio il diavolo ad aver paura di lui, tanto è feroce. Non sei terrorizzato a vivere così solo nel tuo orto, difeso da un barbaro ungaro. A me solo al pensiero di vivere con un ungaro mi vengono i brividi".
"Vostra Santità non deve preoccuparsi per la mia incolumità", rispose amabilmente Ascanio, sorpreso per quelle attenzioni del papa. "I briganti vanno dove sanno di trovare dei tesori. Da me troverebbero solo vecchie pergamene e codici consunti di cui non saprebbero cosa farsene. E poi in passato ho aiutato qualcuno di loro che era nei guai e di questo i briganti non si dimenticano, nonostante la loro ferocia. Per quanto riguarda l'ungaro, poi, mi è devoto come un cagnolino".
"Ma alle volte anche i cani di casa azzannano", rispose il papa, deluso che le sue richieste non trovassero accoglienza.
"Potresti chiamare con te anche il vecchio cardinale Giacomo", continuò il papa. "Siete ormai le uniche persone di cui mi fido e che possono tirarmi fuori dai molti guai in cui mi sono cacciato seguendo i consigli dello scellerato Macuto".
"Dubito molto che il cardinale Giacomo, con la sua avanzata età e la sua malferma salute, accetti incarichi di governo. E se li accettasse non sarebbe disposto a ritornare a vivere a palazzo, come del resto non lo sono io. Siamo vecchi, troppo vecchi e a palazzo c'è una gran confusione che ci frastorna".
"Ma siete ancora molto lucidi e, soprattutto, avete un'esperienza di governo che a me, purtroppo, manca del tutto. L'ho capito a mie spese, e se riuscirò ad uscire da questa esperienza infame, che mi sta riempiendo di angoscia, voglio solo affidarmi alle vostre mani, come fece mio padre Alberico, che così saggiamente ha governato sotto la vostra guida".
Era la prima volta che Ascanio sentiva parole così assennate dal giovane papa. Evidentemente le ultime atroci esperienze che l'indegno figlio di Alberico aveva sofferto, lo avevano costretto a maturare e a rinsavire.
Il giovane papa rientrato nelle sue stanze, fece chiamare subito il domestico più fidato. Si chiamava costui Cassio ed era un giovane sulla quarantina molto intelligente ed astuto. Conosceva così bene il suo padrone, che gli bastava un'occhiata per capirne lo stato d'animo e comportarsi di conseguenza. Cassio aveva notato che negli ultimi tempi, specie dopo il rientro da Tivoli dove s'era rifugiato per sfuggire all'imperatore, il papa aveva subìto dei notevoli cambiamenti, sia nella condotta privata sia in quella politica e religiosa. Aveva molto attenuato la sua frenesia per la caccia, aveva interrotto molte amicizie coi giovani patrizi romani, specie i più scapestrati, e si interessava di più agli affari di Stato e della Chiesa. Era evidente per Cassio che le pesanti accuse che il vescovo Liutprando gli aveva rivolto nella lettera inviata a nome dell'imperatore, avevano profondamente umiliato sua Santità, lo avevano reso consapevole del suo degrado, dello scandalo che aveva prodotto nell'intera cristianità e gli avevano fatto nascere il desiderio di porre un po' di ordine nella sua vita privata. L'episodio poi dell'uccisione della giovane Priscilla, verificatasi nel tentativo di farla rapire per sottoporla alle sue voglie, se pure era imputabile alla ferocia di un suo sgherro, lo aveva molto abbattuto. Insomma il papa stava positivamente cambiando, e questo anche per merito di Cassio che si era sempre prodigato per attenuare gli eccessi del suo padrone e spesso, in varie circostanze, lo aveva costretto quasi con imperio e con grosso rischio personale, a fermarsi prima dell'irreparabile. Più volte infatti, quando il giovane papa in preda all'ebbrezza stava per abbandonarsi agli eccessi più sfrenati, con dolce violenza lo aveva costretto a rientrare nelle sue stanze. Talvolta, senza farlo pesare, sapeva dare al giovane papa dei preziosi consigli, come quello di richiamare al suo servizio il diacono Ascanio.
Non sempre però Cassio riusciva a frenare le smanie papali, specie quando queste erano rivolte al sesso femminile, vero punto debole di Giovanni XII. Se il giovane papa infatti s'invaghiva di una donna, che magari aveva appena intravista durante una funzione religiosa, non si dava pace finché non l'aveva, con le buone e con le cattive, sottoposta alle sue voglie. Quasi sempre la faccenda s'aggiustava con l'offerta di ricchi doni o di importanti incarichi ai mariti o ai parenti, ma talvolta poteva anche finire in tragedia, come nel caso di Priscilla.
In quei giorni il giovane papa, pur assillato dalla paura di essere sull'orlo della catastrofe e preso da molti impellenti impegni, stava spasimando per una giovine che aveva notato due settimane prima nella Basilica di San Pietro, durante una funzione religiosa. Seduta in prima fila, costei seguiva la cerimonia con grande devozione, solo che ad un tratto, mentre era intenta alle sue preghiere, il velo che la nascondeva agli occhi di tutti, le cadde inavvertitamente per terra e il suo viso bellissimo apparve in tutto il suo splendore, lasciando il giovane papa senza fiato. La giovane, confusa per quello che le era accaduto, aveva raccolto il velo e si era subito dileguata dalla chiesa. Quella folgorante apparizione aveva scatenato nel papa una vera ossessione amorosa che non gli dava tregua nemmeno quando era circondato dalle sue favorite.
Il povero Cassio dovette sguinzagliare per la città i più astuti segugi alla ricerca del nome e dell'abitazione della giovine donna, senza però trovare il minimo indizio che conducesse a rintracciarla.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)