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lunedì 29 ottobre 2012

Il falso Jahvè. L'esilio e il post esilio La deportazione a Babilonia.173


Come pegno per il ritorno decisero di riscuotere regolarmente la tassa per il Tempio e di farla giungere a Gerusalemme. Allo scopo di consolidare il più possibile il sentimento d'appartenenza al popolo di Jahvè, e anche per accentuare la loro distinzione dagli altri popoli, si imposero l'osservanza rigida del culto della Torah, cioè della Legge mosaica restaurata da Giosia.

La circoncisione, non praticata in Mesopotamia, fu applicata con rigore e diventò il segno distintivo dell'appartenenza al popolo d'Israele e del Patto dell'Alleanza con Jahvè. Non si era ebrei se non si era circoncisi. L'osservanza del riposo del sabato, dei riti di purificazione, delle norme alimentari e delle feste commemorative, furono rigorosamente imposte, nonostante che la loro applicazione richiedesse immensi sacrifici in una terra straniera di così diversi costumi.

Durante i cinquant'anni d'esilio i deportati, che erano in gran parte l'élite d'Israele, rimasero fedeli alla riforma di Giosia e ripresero i testi del Pentateuco e della Storia Deuteronomistica apportando aggiunte e revisioni, per cui questi testi raggiunsero in sostanza la loro forma finale. Geremia, nel suo libro descrisse la situazione in Giuda durante l'esilio, mentre Ezechiele, esiliato, fornì informazioni sulla vita e le speranze dei deportati ebrei a Babilonia. 

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)