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domenica 28 ottobre 2012

In nomine Domini 36


Al rientro in Laterano, il papa condusse il diacono nelle stanze della segreteria di Stato da poco liberate dal nobile Macuto, rinchiuso nelle segrete di Castel Sant'Angelo per alto tradimento. Ascanio stentò a riconoscerle. Quando, assieme al cardinale Giacomo, amministrava lo Stato, sembravano celle monacali, piene di rotoli e di documenti. Ora si erano trasformate in stanze satrapesche, tanto erano ridondanti di tappeti, arazzi e mobili sontuosi.
"Appena avremo conferma della conciliazione, tu tornerai a vivere qui, almeno di giorno", disse il papa ad Ascanio. "A sera tornerai nel tuo orto solitario. Ma ti darò una scorta e guai se la rifiuti. I briganti sono sempre più pericolosi e Saracino, il loro capo indiscusso, sempre più efferato. Hai visto come ha conciato il nobile Uzzone.
"In questo palazzo hai lavorato molti anni con papa Giovanni X e alcuni anni anche con me", riprese il papa che sembrava in vena di confidenze, "ma sei sempre vissuto in quest'ala dell'edificio che ospita le segreterie e gli uffizi. Non credo tu abbia mai visto gli appartamenti nei quali si trovano le stanze private dei pontefici. Ricordi il domestico Agapito, morto l'anno scorso quasi centenario? Era la memoria storica di questo palazzo. Vi ha visto entrare nell'arco della sua vita decine di papi, e solo pochi di questi sono morti tra queste mura e nel loro letto. Mi aveva preso in simpatia e mi ha spiegato un mucchio di cose passando in rassegna le varie stanze. Vieni che te le faccio vedere" concluse, prendendolo sottobraccio. E si avviò con lui verso l'altra ala del palazzo.
Ascanio lo seguì perplesso. Non gli era mai passato per la mente di entrare nelle stanze private del papa. Erano un territorio escluso dagli occhi indiscreti della gente. Percorsero un lungo corridoio che si apriva in ampie e sontuose stanze, riccamente addobbate e con molti domestici indaffarati al loro interno. Al termine del lungo corridoio entrarono in un piccolo atrio che immetteva a destra in un ricco portale, che appariva ermeticamente chiuso, e a sinistra in una stanzetta semiaperta. Un dolce suono di liuto e un gioioso vocio di fanciulle filtravano dalle stanze che si trovavano al di là dalla ricca porta. Il papa ascoltò per qualche attimo quegli allegri rumori che a lui parevano famigliari e spiegò ad Ascanio sorpreso: "Questo è il mio santuario, come lo chiamano i saraceni. Qui tra le mie adorate favorite e nella scuderia, tra i miei amati cavalli, trascorro i momenti più lieti della giornata. Peccato che fra poco", aggiunse amaramente, scrollando la testa, "sarò costretto a rinunciare a ciò che rende così lieta la mia vita". E si avviò nella stanza vicina. Era una camera molto più piccola rispetto alle altre e piuttosto disadorna, ma con un'enorme alcova al centro. Entrando il diacono ebbe l'impressione che fosse in uno stato di abbandono da molto tempo.
"Cos'ha di così importante questa camera, Santità?, chiese Ascanio stupito.
"Secondo Agapito quest'alcova è stata il campo di battaglia di mia nonna Marozia, appena quindicenne, con papa Sergio III", rispose Giovanni XII con una punta di ironia. "In essa è stato concepito papa Giovanni XI, il fratellastro di mio padre."
Ascanio ascoltò in silenzio senza dare molto peso alle parole del papa. Quella storia piccante era nota a tutta Roma da tempo immemorabile.
"Com'era questo papa Sergio?", riprese Giovanni XII. Nel tono delle sue parole c'era un specie di acredine.
"Non è stato certamente un papuncolo", rispose Ascanio, con distacco. "Potrei definirlo piuttosto un papastro per i suoi molti vizi. Ma, nonostante questi, si prodigò per la grandezza della Chiesa e di Roma. Fu un uomo molto determinato e per raggiungere i suoi scopi non indietreggiò davanti al più infame dei delitti. Per ingraziarsi Agertrude di Toscana spinse Stefano VI ad inscenare il macabro sinodo cadaverico contro papa Formoso, che lo aveva fatto prete. Fallì il suo primo tentativo di scalare il papato e fu esiliato da Roma dal vincitore Giovanni IX, ma non si scoraggiò e quando il prete Cristoforo fece deporre e uccidere Leone V per proclamarsi a sua volta papa, comprese che era giunto il suo momento. Con l'aiuto della potente famiglia Teofilatto, la vostra, Santità, catturò l'usurpatore Cristoforo e lo strangolò con le sua mani, quindi si prese la tiara. La tenne ben saldamente e fu uno dei pochi papi a morire nel suo letto, stroncato ancor giovane dai vizi e dalle crapule".
La risposta di Ascanio parve soddisfare il papa. "Hai confermato tutto quanto mi aveva riferito Agapito", disse. "Ma secondo il vecchio domestico di mio padre pare anche che papa Sergio fosse completamente ateo", aggiunse.
Ascanio annuì, sorridendo. "Giudicava tutte le religioni delle stupide e perverse invenzioni", concluse.
"E di mia nonna Marozia che mi sai dire?", riprese Giovanni XII, sempre in vena di confidenze. "Mio padre evitava sempre di parlare di lei in famiglia. Io non ho avuto tempo di conoscerla".
"Una donna straordinaria sotto molti punti di vista. Aveva il potere nel sangue e non indietreggiava di fronte a nessun ostacolo pur di conquistarlo", disse Ascanio con convinzione.
"Pare fosse molto sensuale e libidinosa", ammise il papa.
"Non proprio, ritengo. Per lei il sesso era solo uno strumento di potere, solo potere. Non amava altro che il potere. E per esso commise i due errori fatali della sua vita: far uccidere papa Giovanni X, il più grande papa del nostro secolo, e sposare re Ugo, vostro nonno".
"Manifesti sempre una smisurata ammirazione per questo papa", fece Giovanni XII con una punto di stizza. "Non era poi uno stinco di santo se è diventato papa per i meriti acquisiti nell'alcova di mia bisnonna Teodora".
"Non un sant'uomo di certo, ma un gran papa sì. Non sempre le due cose collimano", rispose Ascanio.
"Ed io, come passerò alla storia?", fece Giovanni XII, con beffarda ironia.
"Vostra Santità, se avesse tenuto fede ai giuramenti fatti all'imperatore e fosse stato più accorto nella sua vita privata, col Privilegium Ottonianum che confermava a San Pietro tutti i diritti e i patrimoni ricevuti nel passato, confermati anche dalle decretali di Leone IV, avrebbe portato la Chiesa alla sua massima potenza e sarebbe passato alla storia come un grande papa", rispose Ascanio con vivo rammarico.
"Ancora non è detta l'ultima parola", rispose Giovanni XII, manifestando il suo solito ottimismo. "Tra pochi giorni la risposta di Ottone chiarirà ogni cosa. Io sento che sarà a mio favore e in tal caso cambierò radicalmente vita e mi dedicherò totalmente al bene della Chiesa. Questi ultimi avvenimenti mi hanno maturato seriamente. Credimi!"
Ascanio non rispose. Non condivideva l'ottimismo del papa perché era troppo consapevole della gravità della situazione.
"Hai nominato le decretali di papa Leone IV", riprese il papa durante il ritorno. "Ne ho sentito parlare ma non so esattamente di che si tratti. Ricordo però che il decretalista Bonifacio le considerava false".
"La questione è molto controversa", ammise il diacono. "C'è chi dice che questa collezione di decreti emessi da alcuni papi del passato, soprattutto da Clemente I e Gregorio II, allo scopo di sancire la piena potestà del papa sulla Chiesa universale e il suo privilegio di aprire e di chiudere le porte del paradiso a chi lui volesse, nonché il diritto di possedere i territori che costituiscono lo stato di San Pietro, fu scritta da un gruppo di falsificatori papisti agli ordini di questo papa. Non si può escludere che ciò sia vero perché, ad un esame attento, e io l'ho fatto, puzzano non poco di falsità. Ma la questione non è questa. Vere o false queste decretali contribuiscono molto al rafforzamento del potere papale e alla grandezza della Chiesa, perciò vanno difese strenuamente e inserite in tutti i trattati con l'autorità imperiale", dichiarò Ascanio con decisione.
Fu a questo punto che il papa scorse il fido domestico Cassio che andava alla sua ricerca. Immaginando che portasse notizie fresche su Stefanetta, licenziò amabilmente il diacono Ascanio invitandolo per l'indomani all'ex cenobio di Simone per l'ultimo e conclusivo esame dei rotoli.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)