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domenica 21 ottobre 2012

In nomine Domini 35


Il venerando Simone aspettava con ansia l'arrivo dei suoi ospiti. Questa volta si era preparato a dovere e durante la notte, visto che dormiva assai poco, al lume di candela aveva riguardato i codici in questione e ne aveva confrontato il contenuto con gli Atti degli Apostoli, cui si riferivano, per meglio valutare con questi coincidenze e discrepanze.
Dopo i convenevoli d'uso, conscio della complessità e vastità dell'argomento, il vecchio monaco aveva cominciato senza indugi, e con grande sicurezza di sé, la sua nuova esposizione.
"Oggi esamineremo sommariamente, perché come potete vedere il contenuto di questo rotolo è molto complesso e vasto, il racconto della nascita del cristianesimo primitivo della Chiesa di Gerusalemme, e quello del neo cristianesimo di Paolo di Tarso e dei suoi seguaci. Entrambi questi racconti concordano in parte cogli Atti degli Apostoli, che attribuiamo a Luca, ma talvolta o divergono totalmente da essi o li completano in modo nuovo.
"Cominciamo dal momento in cui Maria di Magdala, che per prima si era recata all'indomani del sabato a visitare la tomba di Gesù, trovando questa aperta e vuota, corse fuori di sé per l'esaltazione, ad annunciare agli apostoli che Gesù era risorto. Galvanizzati da questa folgorante e inaspettata notizia, essi si convinsero che con la sua resurrezione Gesù, da Messia fallito come avevano creduto dopo la sua crocifissione, si era trasformato nel Messia Martirizzato, nel Figlio dell'Uomo assiso alla destra del Padre come profetizzato da Daniele, e che sarebbe tornato ben presto sulle nuvole per compiere la redenzione d'Israele e ricostruire il Regno di Dio in Terra.
"L’aspettativa escatologica, ritenuta imminente, divenne quindi il fondamento di questo primitivo cristianesimo e si trasmise, come vedremo poi, anche a Paolo e ai suoi discepoli, diventando in certi casi una vera ossessione. Gli apostoli quindi, non più impauriti per la fine ignominiosa e cruenta del loro Maestro, dilagarono in preda all'euforia per le vie della città annunciando la resurrezione del Messia Martirizzato e il suo imminente ritorno dal cielo, e fecero ben presto nuovi proseliti tra gli ex seguaci di Gesù. Ebbe inizio così una setta che fu chiamata dei nazorei o nazirei.
"La nuova comunità, a similitudine della comunità essena da cui discendeva, era diretta da dodici anziani e dai familiari del Maestro, tra i quali spiccava, per il suo grande attaccamento alla Legge e alle tradizioni ebraiche, Giacomo, uno dei fratelli di Gesù. I nazirei s'incontravano ogni giorno nel Tempio a pregare e poi si riunivano in casa di uno di loro per adempiere al rito esseno dell'agape fraterna: spezzavano il pane e consumavano il pasto comune in letizia e semplicità di cuore. Il loro zelo nel rispettare rigorosamente la Legge, il loro amore per la povertà e l'ascetismo e la dedizione ai bisognosi, li resero popolari anche presso alcuni farisei e favorirono la loro crescita costante, finché non subirono una dura persecuzione per opera di un giovane fariseo della diaspora, inizialmente chiamato Saul, poi conosciuto come Paolo di Tarso, il nostro San Paolo.
"Costui, che aveva partecipato alla lapidazione di Stefano, messosi al soldo del Tempio, si era dato con particolare ferocia ad arrestare e a condannare a morte i nazirei di lingua greca i quali, per sfuggire alla sue persecuzioni, dovettero darsi ad una fuga precipitosa e rifugiarsi in Asia ove crearono nuove comunità cristiane ad Antiochia, a Damasco e a Cipro".
"Fu allora che essi si rivolsero anche alla conversione dei pagani?" chiese il papa.
"Non proprio", rispose Simone. "Gesù si era rivolto esclusivamente ai figli d'Israele e i suoi seguaci, seguendo la sua linea, continuarono a diffondere la nuova dottrina della parusia, cioè del ritorno di Gesù risorto dal cielo, esclusivamente tra gli ebrei. Lo stesso fecero i cristiani di lingua greca, fuggiti da Gerusalemme per sottrarsi alle persecuzioni di Paolo. Essi si diedero a diffondere tra gli ebrei della diaspora, sparsi nelle varie contrade dell'impero romano, la fede nel ritorno di Gesù da loro considerata un adempimento profetico e non una nuova religione.
"I pagani non furono toccati da quell'opera evangelizzatrice che si svolgeva esclusivamente nell'interno delle sinagoghe, finché avvenne che alcuni cristiani ebrei ellenisti di Antiochia, accanto ai correligionari, inserirono nel loro gruppo anche i timorati di Dio pagani che desideravano frequentare le sinagoghe,come uditori, attratti dal monoteismo e dalla profonda eticità dell’ebraismo, e questi nuovi fedeli furono chiamati per la prima volta "cristiani", cioè messianisti, seguaci del Messia.
"Durò molto la persecuzione di Paolo contro i cristiano-ellenisti?" chiese il papa.
"Non molto, per la verità, perché, come sappiamo bene dagli Atti degli Apostoli, Paolo, giunto nei pressi di Damasco per catturare e poi tradurre a Gerusalemme i cristiani di quella città, fu colpito, a suo dire, dalla folgorazione divina che lo convertì al cristianesimo".
"Perché a suo dire?", chiese il papa stupefatto.
"Perché, come vedremo meglio in seguito", rispose con schiettezza Simone, "la repentina conversione di Paolo fu sempre considerata falsa e menzognera dai veri apostoli. Comunque, subito dopo questa conversione, le persecuzioni che erano soprattutto opera sua, cessarono del tutto e i cristiano-giudei vissero indisturbati a Gerusalemme, protetti dai farisei e dal loro capo Gamaliele, e durante questo periodo di tranquillità poterono incrementare i loro i proseliti fino a raggiungere alcune migliaia".
"Chi era il capo di questa comunità", chiese Ascanio.
"Il principale esponente della Chiesa di Gerusalemme era Giacomo, come abbiamo detto prima, sempre chiamato in questo testo, ma anche negli Atti, il fratello del Signore. Da come ci viene descritto da Eusebio di Cesarea era senz'altro un esseno ed anche uno che aveva fatto voto di nazireato. Le cose procedettero tranquillamente finché a sconvolgere la loro opera di evangelizzazione arrivò Paolo di Tarso".
"Da come hai anticipato, parlando della sua conversione, si può intuire che Paolo in questo codice venga presentato come un personaggio poco credibile", chiese il diacono.
"Senza mezzi termini viene definito come un apostata della Legge ebraica e un uomo di menzogna", rispose seccamente il monaco Simone. "Infatti egli trasformò gradualmente Cristo, da Messia politico fallito com'era stato nella realtà, e da Messia Martirizzato, come credevano i nazirei dopo la sua resurrezione, in una specie di salvatore universale, nel redentore dell'intero genere umano".
"Al momento della sua conversione però non mi sembra che Paolo avesse già maturato questo suo ideale di salvezza ", precisò Ascanio.
"Come vedremo fra poco questa fu la conclusione finale cui giunse, dopo che ebbe visto fallire l'ossessiva aspettativa del ritorno del Risorto per la restaurazione del regno davidico in Terra. All'inizio della sua conversione infatti egli condivideva coi cristiano-giudei di Gerusalemme soltanto questa aspettativa, conosciuta col nome di parusia, ed era convinto che fosse imminente e riservata esclusivamente al popolo eletto".
"Come viene spiegata la sua folgorazione", intervenne Ascanio.
"Per rendersi credibile come apostolo e per cancellare il suo passato di persecutore, Paolo ricorse all'artificio dell'illuminazione sulla via di Damasco e alle sue ripetute visioni celesti. Accortamente fece coincidere la sua prima visione con una rovinosa caduta da cavallo, provocata come lui tentò in tutti i modi di far credere, da una folgorazione divina ma, come è scritto in questo codice, causata da una forma di malcaduco o morbo sacro che lo affliggeva e che gli dava non poche preoccupazioni".
"Dopo la sua conversione, come si comportò con gli apostoli?", chiese il diacono.
"In modo assai strano. Lui che non aveva conosciuto Gesù nella carne, giunse a proclamarsi apostolo per elezione divina, basandosi sulle sue presunte rivelazioni celesti e si diede a predicare la parusia tra gli ebrei della diaspora in Arabia e a Damasco, ignorando totalmente la Chiesa di Gerusalemme".
"Quindi la sua investitura apostolica è stata esclusivamente una sua autoproclamazione, senza alcuna conferma dalla Chiesa di Gerusalemme", fece Ascanio sbalordito.
"Solo sancita dai suoi rapimenti al terzo cielo, provocati probabilmente dagli attacchi del suo malcaduco, perché quel tipo di malattia, a detta di molti, provoca visioni molto vivide", spiegò il monaco. "Tre anni dopo la sua folgorazione Paolo decise di recarsi a Gerusalemme per incontrare gli apostoli, ma a causa del suo passato di feroce persecutore e perché nessuno voleva credere alla sua conversione, fu evitato da tutti e poté a stento avvicinare Giacomo, fratello del Signore, e Simon Pietro. Dopo quel breve e freddo incontro tornò ad Antiochia ove in breve divenne il capo della comunità cristiana di quella città"
"Chi lo spinse allora ad intraprendere i suoi viaggi missionari in Asia?", chiese il papa, mostrando una certa conoscenza delle vicende dell'apostolo.
"La Chiesa di Gerusalemme su insistenza del levita Barnaba, un amico degli apostoli che credeva nella conversione di Paolo", rispose Simone. "Fu lui, che era un ebreo della diaspora proveniente da Cipro, a insistere perché Paolo fosse mandato tra gli ebrei dell'Asia, che parlavano greco, a diffondere la parusia. Comunque, durante questa sua missione Paolo incontrò quasi sempre da parte dei suoi correligionari una forte ostilità e un rifiuto ostinato. Essi, infatti non erano interessati alla parusia e consideravano Gesu un falso Messia. Solo i gentili, timorati di Dio, che frequentavano le sinagoghe come uditori perché favorevolmente impressionati dal modo di vita ebraico, si dimostrarono molto più disponibili e ricettivi degli ebrei ad accogliere l'aspettativa messianica di Gesù, per cui Paolo si dedicò alla loro conversione".
"Come reagì la Chiesa di Gerusalemme nei confronti dei gentili convertiti?", chiese Ascanio.
"Essa, che riteneva la parusia non una nuova religione ma un completamento messianico dell'ebraismo, quando dopo lunghe discussioni decise di aprire le porte del cristianesimo ai gentili, impose loro come "conditio sine qua non", l'obbligo di farsi prima ebrei, abbracciando in toto la Legge mosaica, e quindi di subire la circoncisione.
"Paolo, che in base all'esperienza fatta in quella sua missione aveva maturato l'idea che il cristianesimo difficilmente avrebbe attecchito tra i suoi connazionali della diaspora, mentre sarebbe stato accolto molto favorevolmente dai gentili timorati di Dio, si ribellò a quella imposizione che rendeva di fatto impossibile la conversione dei pagani Perciò maturò l'idea di attuare lo scisma totale dal giudaismo e proclamare che la salvezza per il cristiano non dipendeva nel modo più assoluto dalla circoncisione e dall'osservanza della Legge ma solo dalla fede in Cristo e rivolse il suo apostolato quasi esclusivamente ai gentili, trovandoli più ricettivi dei suoi connazionali".
"Quando e in che modo avvenne la rottura definiva di Paolo con Gerusalemme?" chiese Ascanio.
"Non subito, come ho accennato prima", rispose Simone. "Fu un'azione graduale, in linea con l'evoluzione teologica di Paolo. Abbiamo visto ch'egli era partito dalla parusia, dall'attesa spasmodica del ritorno del Risorto che tutti credevano imminente. Molti suoi seguaci gentili erano arrivati a vendere ogni loro proprietà ed a abbandonare le loro normali attività, cadendo in un ozio pernicioso, nell'attesa spasmodica del ritorno di Gesù dal cielo. Ma la parusia tardava ad arrivare mettendo Paolo in un serio imbarazzo, e fu allora che egli diede inizio alla creazione del terzo Gesù, quello teologico, che è descritto nei nostri Vangeli. Il nuovo Gesù non era più il Messia Martirizzato, assiso alla destra del Padre, destinato in breve a giungere dal cielo per creare in Terra lo Stato santo di Jahvè, ma il figlio di Dio, immolatosi sulla croce per redimere l'intera umanità e ottenere il perdono dei peccati, che sarebbe ritornato alla fine dei tempi per attuare il Giudizio Universale e portare i buoni con sé in paradiso e cacciare i malvagi nell'inferno.
"Per ottenere questa trasformazione bisognava però degiudeizzare Gesù, buttando alle ortiche l'ebraismo, e demessianizzarlo, rinunciando cioè al suo ruolo messianico e alla sua regalità, sempre ostentata dai cristiano-giudei, ma diventata un ostacolo insormontabile all'evangelizzazione, sia degli ebrei della diaspora, sia dei pagani, in quanto dava adito alle accuse di violazione degli editti di Cesare, di insubordinazione contro l'Impero e di trasgressione della "lex Iulia de maiestate". Il concetto di Messia, tradotto in greco col termine "Cristo", subì con Paolo una trasformazione radicale rispetto al suo significato originario. Anziché l'Unto del Signore per redimere Israele, come l'intendevano i giudei, prese a significare il figlio di Dio, incarnatosi per redimere l'intera umanità peccatrice.
"A questo punto la divisione tra i due cristianesimi: quello giudaico e quello paolino, divenne totale e irreversibile. Essa rappresentò lo scontro tra due opposte concezioni: quella dei cristiano-giudei, chiusa nell'ortodossia ebraica, legata al rispetto assoluto della Legge e all'attesa spasmodica della parusia, e quella di Paolo, aperta ai gentili e fautrice di un nuovo cristianesimo fondato sul principio salvifico di un salvatore spirituale e universale, tipico dei greci, dei persiani, dei caldei e di gran parte del mondo antico, compreso quello orientale".
"Una rivoluzione totale", esclamò Ascanio, "tale da fare di Paolo il vero fondatore del cristianesimo".
"Chiarissimamente", disse Simone. "Se non ci fosse stato Paolo a trasformare Gesù da Messia fallito a salvatore universale, e a diffondere la sua nuova teologia ai gentili in tutte le contrade dell'Impero, il cristianesimo sarebbe rimasto una piccola e insignificante setta di cristiani nazirei, sconosciuta a tutti e destinata a sparire durante la guerra giudaica combattuta sotto Vespasiano e Tito, e nessuno di noi avrebbe mai sentito parlare di Gesù".
L'ipotesi che senza San Paolo il cristianesimo non sarebbe mai esistito, suscitò una lunga e serrata discussione che coinvolse appassionatamente anche il papa. Al termine di quel lungo e acceso dibattito, si convenne di sospendere la seduta e di rinviare all'indomani la decisione definitiva sulla sorte da riservare ai papiri.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)