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mercoledì 31 ottobre 2012

Il falso Jahvè. L'esilio e il post esilio. .174


Oltre che a rafforzare lo spirito dell'osservanza della Legge e del culto di Jahvè, la lontananza dalla patria consentì agli esuli di sentirsi uniti spiritualmente ed etnicamente e di alimentare, senza cedimenti e incertezze, la speranza nel ritorno. 

Ma la superiore cultura babilonese esercitò sugli esuli, nonostante vivessero in una "enclave" spirituale ed etnica, un influsso di incalcolabile portata che riguardò la concezione dell'origine del mondo (con notevoli riflessi anche sulla Bibbia), il calendario mesopotamico, la terminologia babilonese e, soprattutto, l'adozione dell'aramaico - dopo l'avvento di Ciro - divenuto la lingua comune dell'intera regione, e della sua scrittura con l'alfabeto quadrato in uso ancora oggi in Israele in sostituzione di quello fenicio (Bernard Comrie, The Major Languages of South Asia, The Middle East and Africa).

Gli esuli furono indotti a nuova speranza da due grandi profeti dell'esilio: Ezechiele e Isaia Deuteronomio. Soprattutto il Deuteroisaia – il secondo Isaia, rimasto anonimo – preannunciò la liberazione e il ritorno dall'esilio alla stregua di un nuovo esodo dall'Egitto, una nuova marcia attraverso il deserto verso Gerusalemme per riedificare il Tempio, restaurare il regno di David in un Israele unificato. Così, in un tempo di esilio, di ignominia e spesso di disperazione, veniva posto il fondamento di una nuova speranza.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)