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martedì 30 ottobre 2012

Ildegarda di Bingen è stata proclamata il 7 ottobre Dottore della Chiesa. Ma il modello femminile cattolico resta ancora la donna medioevale.


Di tanto in tanto la Chiesa dà un contentino alle donne, ma l'ultimo contentino, cioè la proclamazione di Ildegarda di Bingen Dottore della Chiesa, dopo mille anni dalla sua morte, appare strumentale e incoerente, una sorta di quota rosa che offende tutte le donne che dalla Chiesa aspettano ancora il riscatto culturale e sociale che proprio Ildegarda di Bingen aveva provato a dare.
Ancora oggi, infatti, in pieno XXI secolo, la donna è considerata dalla Chiesa, Cattolica maschilista e sessuofoba, inferiore all'uomo e discriminata. Per uscire dal suo stato di inferiorità, che perdura dalla nascita del cristianesimo, la donna deve assolutamente superare la sua più grave discriminazione: accedere al sacerdozio e rivestire poteri decisionali nel governo della Chiesa.
La ragione fondamentale che induce la Chiesa ad escludere le donne dal sacerdozio è la seguente: “Gesù Cristo non ha chiamato alcuna donna a far parte dei dodici”. Ma questa affermazione sottace al fatto che ai tempi di Gesù nella società ebraica la donna era considerata alla stregua di una minorenne, priva di indipendenza e di diritti, quindi irresponsabile, al punto che doveva restare in piedi mentre il marito o il genitore mangiavano. Chi avrebbe mai preso in considerazione una donna come apostolo?
San Paolo, il vero fondatore del cristianesimo, considerò la donna non solo interiore all'uomo ma per di più una creatura volgare, carnale e seduttrice. È Eva (donna), la peccatrice per antonomasia (Tertulliano, De exhortatione castitatis 9,10). Tutti i grandi dottori della Chiesa abbracciarono in pieno la misoginia paolina e furono concordi nell'affermare che la donna doveva servire solo alla propagazione della specie.
Sulla scia di Paolo, per quasi venti secoli, la donna è stata dileggiata da dottori e teologi in mille modi: «porta del diavolo» (Tertulliano), «male di natura» (Giovanni Crisostomo), «insaziabile» di piacere (Girolamo), «di mente instabile» (Gregorio I), «sacco di escrementi» (Odo, abate di Cluny), «una sorta di inferno» (Pio II), «osso in soprannumero» (Bossuet), arrivando, in casi estremi, a negare perfino che possedesse l'anima. Solo, infatti, nel Concilio di Trento le fu apertamente riconosciuto di possederla. Ecco perché fino al XX secolo le fu vietato di accostarsi «ai sacri altari», perfino di “servire” messa o cantare in chiesa.
Solo a partire dal Vaticano II, grazie anche all’influenza del movimento femminista, cominciò a essere posta in discussione la  misoginia cattolica. Ma soltanto a parole. Sebbene la società di oggi non sia più quella del tempo di Gesù, e la posizione della donna nella nostra società sia parificata all'uomo, la Chiesa non ne prende atto e persegue nella sua discriminazione.
Le donne nella Chiesa non solo sono escluse dal sacerdozio ma non hanno alcun potere decisionale sui problemi più importanti, quali l’interpretazione delle Scritture e il Catechismo. Tutto è scritto da uomini e la Chiesa è gestita esclusivamente da uomini.
Perché allora le donne cattoliche non si ribellano, ricorrendo a tutti i mezzi pacifici per ottenere ciò che spetta loro? Comincino a disertare le chiese, a non offrire la loro opera, a non versare l’otto per mille, a non mandare le loro figlie al catechismo. Insomma, ricorrano ad ogni mezzo legale per ottenere giustizia. altrimenti dovranno rassegnarsi alla perenne emarginazione religiosa. 

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)