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domenica 7 ottobre 2012

In nomine Domini 33


Mentre tutte le campane di Roma suonavano a distesa, annunciando giulive il pontificale in San Pietro di papa Giovanni XII, un'enorme folla e molte lussuose carrozze s'avviavano verso la basilica. Al richiamo del secondo scampanio, che annunciava l'inizio della cerimonia, la grande chiesa di San Pietro era gremita all'inverosimile perché dopo il massacro di gennaio sul Ponte Sant'Angelo, che aveva seminato grandi lutti nell'intera popolazione, tutti bramavano la riconciliazione definitiva del papa con l'imperatore.
Giovanni XII era in preda a vivissima emozione. L'idea di rivedere la giovane misteriosa l'aveva agitato tutta la notte e lo faceva sentire come un giovane innamorato al suo primo incontro con l'amata. A ciò si deve aggiungere il panico che sempre lo colpiva al momento di iniziare una cerimonia lunga e complessa come il pontificale che le poche volte che l'aveva celebrato aveva sempre trovato ingarbugliato e difficile e che mai era riuscito ad assimilare completamente. All'arcidiacono Pelagio, assistente al soglio, che lo affiancava sempre nelle rare occasioni che celebrava in pubblico, con l'incarico segreto di suggeritore, aveva raccomandato la massima attenzione ai suoi momenti d'impaccio. Per fortuna, poco prima dell'inizio della cerimonia, era giunta a rincuorarlo la sorella Eudossia. I suoi ripetuti abbracci riuscirono a scaricare in parte la sua tensione ed egli s'avviò all'altare della basilica sufficientemente calmo e sicuro di sé. Lo sfavillio delle luci, il festoso salmodiare dei cantori del coro e lo splendore dei ricchi paramenti dei cardinali che assistevano alla cerimonia ai lati dell'altare, creavano un'atmosfera molto raccolta e altamente spirituale.
Tutto sembrò scorrere nel migliore dei modi. Il papa coi suoi brevi momenti di raccolta in preghiera, durante i quali riceveva le imbeccate di Pelagio, giunse felicemente, senza intoppi, al momento dell'omelia e quando il cardinale Uberto si mise a pronunciarla, poté finalmente sedere nel trono papale, rivolto al pubblico che fino allora aveva avuto sempre di spalle. Era il momento tanto atteso. Con gli occhi socchiusi e il cuore che batteva fremente nel petto, Giovanni XII puntò lo sguardo sulle prime file dei fedeli, quelle riservate alle persone più importanti. Scorse molte donne in devoto raccoglimento ma tutte col volto coperto da un velo che rendeva quasi impossibile il loro riconoscimento. Stava per disperarsi di fronte a quell'imprevisto ostacolo quando notò che una di esse, che si trovava nella parte centrale della seconda fila, nel tentativo di assestarsi i capelli, spostò per qualche attimo il velo dagli occhi e subito il giovane papa riconobbe in essa la bellissima giovane misteriosa. Era lei, ne era sicuro! Ebbe un tonfo al cuore e per poco non gli si appannò la vista. Appena si riprese, alzò lentamente la mano destra e si toccò la tiara come per assestarla. Ripeté poco dopo lo stesso gesto. Cassio da lontano fece cenno di aver capito: la giovane era nella seconda fila. La trappola poteva scattare immediatamente. Calpurnio, l'unico dei domestici del papa che aveva visto la giovane nella sua precedente apparizione in San Pietro e che quindi poteva riconoscerla, si collocò in piedi a fianco della fila designata e attese la fine della cerimonia per poter riconoscere la giovane al momento in cui tutte le donne si toglievano il velo all'uscita della chiesa.
Il papa riprese la cerimonia mostrando una certa impazienza di concluderla al più presto. Pelagio, pur contrariato per l'atteggiamento del papa, lo assecondò saltandone una parte.
Al termine della messa, mentre tutti lentamente si avviavano all'uscita, Calpurnio riconobbe subito la giovane e le si affiancò, senza farsi notare, indicandola con cenni a Cassio e agli altri segugi. Nonostante la gran folla che sostava nel piazzale della Basilica, la giovane fu seguita passo passo fino alla sua carrozza e quando questa partì, Manlio e altre due guardie la seguirono a distanza a cavallo, senza dare nell'occhio finché la carrozza entrò in un antico palazzo situato sulla via principale del colle Quirinale e sparì alla loro vista.
Mentre alcuni soldati, travestiti da pellegrini, restavano di guardia a debita distanza per non farsi notare, Manlio correva a riferire a Cassio.
Il papa, al rientro nelle sue stanze, fu subito messo al corrente degli sviluppi della vicenda e all'udire che tutto era andato per il meglio fu preso da un'indicibile gioia. Fu stabilito di mantenere la ronda notte e giorno attorno alla casa della giovane per studiare la situazione e ricavare notizie dalla servitù.
Già dopo poche ore si era saputo che la giovane si chiamava Stefanetta e che era la moglie o la sorella del padrone di casa di nome Lucrezio, un ricco mercante che conduceva una vita molto riservata. Infatti usciva raramente dal suo palazzo, ma quando ciò accadeva rimaneva assente per alcuni giorni. La giovane fu vista nello stesso giorno affacciarsi più volte ad un balcone del palazzo e osservare il traffico della via.
Tra la servitù della casa fu presto individuata un vecchia fantesca che si dimostrò subito molto disponibile a farsi corrompere, dietro lauto compenso. Si disse disposta a far pervenire, in segreto, dei messaggi alla giovane e a far sapere i periodi di assenza del padrone. Ma si rifiutò di rivelare i rapporti che intercorrevano tra la giovane e il padrone di casa.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)