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domenica 14 ottobre 2012

In nomine Domini 34


L'indomani mattina il giovane papa, di ottimo umore e ormai in permanente stato euforico, stava aspettando Ascanio per recarsi con lui nell'ex cenobio di Simone a continuare l'esame dei rotoli, quando fu raggiunto da Manlio, il capo delle sue guardie personali. Costui era visibilmente scosso perché all'alba, sulla riva sinistra del Tevere, era stato trovato il cadavere con la gola squarciate del nobile Uzzone, amico del papa. Ogni giorno nelle acque del fiume galleggiavano cadaveri di popolani assassinati durante le notte e il fatto non faceva notizia, tanto era comune. Spesso non si provvedeva nemmeno a trarre a riva quei poveri corpi, vittime di rapine o di feroci contese e si lasciava che il fiume li buttasse in mare. Ma in questo caso la cosa era diversa. L'ucciso era un nobile potente e molto in vista. Altra cosa sorprendente: non era stato derubato dei suoi anelli, del suo vestito e dei suoi splendidi stivali ma semplicemente sgozzato.
"Che significa tutto questo", chiese il papa preoccupato per quell'orrendo delitto e amareggiato per la morte di un caro amico. "Se ad ucciderlo fossero stati i briganti lo avrebbero derubato e spogliato nudo. Non è quindi opera di mascalzoni comuni".
"Secondo me, Santità, quest'operazione porta il marchio di Saracino. Lui si accontenta della taglia e non deruba i cadaveri. Uccide solo su ordinazione", spiegò Manlio.
"E il movente?", si chiese il papa.
"Potrei azzardare un'ipotesi", fece Manlio. Ma poi si tacque come impedito da una forma di reticenza.
"Non aver paura", disse il papa. "Con me puoi parlare liberamente".
"Vostra Santità sa bene che il nobile Uzzone era solito, per così dire, correre la cavallina. Cioè amava un po' troppo le avventure galanti. Fin che si accontentava di popolane, risarcendo i padri o i mariti con po' di denaro, la cosa poteva accomodarsi facilmente, ma quando c'è di mezzo qualche dama altolocata, può scattare la vendetta dell'uomo tradito".
Il papa rise divertito a quest'uscita di Manlio. Sapeva bene quanto fosse lubrico l'amico Uzzone, suo compagno di bagordi e di lascivia. Ma sentiva in cuor suo che a causare quella morte c'era qualcosa di più misterioso. Un sospetto atroce lo colpì all'improvviso ma non lo rivelò al suo capitano. Si limitò a dirgli di informare con cautela la famiglia e di restituirle il cadavere.

L'atroce fine di Uzzone aveva incrinato il buon'umore del papa. Al suo arrivo Ascanio notò l'atteggiamento pensieroso e poco giulivo di Giovanni XII e temendo che avesse ricevuto notizie poco rassicuranti sulla riconciliazione con l'imperatore gli chiese con cautela: "Qualcosa non va, Santità?"
"Stanotte hanno sgozzato e gettato nel Tevere il nobile Uzzone ", rispose il papa con tristezza. "Sulla sua morte mi assale un terribile sospetto, che solo a te posso confidare".
"Quale?"
"Temo che il suo orrendo assassinio sia collegato con l'arresto di Macuto per alto tradimento. Uzzone era molto intimo di Macuto ma coltivava una grande amicizia anche con Adalberto, il figlio di Berengario II. Lo avevo portato con me quando mi ero incontrato con lui a Spoleto per tramare contro Ottone. E tra i due era nata una sincera amicizia. Forse è stato Uzzone a rivelare ad Adalberto il tradimento di Macuto che ha provocato il fallimento della mia congiura di gennaio contro l'imperatore. E Adalberto, appena l'ha saputo, me ne ha subito informato".
"Ma perché Uzzone ha rivelato il tradimento a Adalberto e non a Vostra Santità?", chiese Ascanio perplesso.
"Non lo so", rispose il papa soprappensiero. "Forse temeva la vendetta di Macuto che fino a pochi giorni fa aveva in mano tutte le leve del potere. Comunque a giorni riceverò un messo di Adalberto che forse mi chiarirà le idee e ti farò sapere."
E si avviarono a piedi, seguiti dalla scorta, nell'ex cenobio di Simone.
"Quello che mi sorprende", confidò il papa strada facendo," è il sottile piacere che provo ad ascoltare il vecchio Simone. È la prima volta nella mia vita che mi accade di apprendere argomenti così impegnativi sulla nostra religione con grande diletto e senza stancarmi. Tu sai, perché mi hai fatto da precettore per un breve periodo prima della mia elezione, quanto ero restio ad apprendere tutto ciò che riguardava la cultura e la religione. Solo cavalcare, cacciare e giostrare erano la mia autentica e unica passione. Poi si sono aggiunte altre cose: le donne, il gioco dei dadi e purtroppo anche i bagordi. Ora, invece, con mia grande meraviglia, scopro quanto il sapere sia bello e appagante. Per merito di quei benedetti rotoli, che forse dovremmo far distruggere".
"Non dovremmo, dobbiamo, Santità", corresse Ascanio con decisione.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)