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domenica 8 luglio 2012

In nomine Domini 22


Trascorsero alcuni momenti di grave tensione durante i quali ognuno dei due parve non aver più nulla da aggiungere. Ma alla fine Ascanio riprese: " A meno che…."
"A meno che", rispose il papa con un filo di speranza.
"So che nelle segrete di Castel Sant'Angelo c'è un prigioniero illustre, Otcherio vescovo di Spira, legato di fiducia dell'imperatore".
"Ho già provveduto a liberalo. È ospitato, con tutti i riguardi ma guardato a vista, nel mio palazzo Teofilatto sulla Via Lata", chiarì il papa.
"Questo faciliterebbe molto le cose. Vostra Santità potrebbe tentare il tutto per il tutto scrivendo subito una lettera ad Ottone, affidandola ad Otcherio con preghiera di intercedere a vostro favore. Nella lettera vostra Santità dovrà confessare i suoi tradimenti e la condotta scandalosa finora seguita, chiedere perdono all'imperatore e giurargli assoluta e perenne fedeltà nonché promettere la redenzione dei costumi. Ma temo molto che lui la prenda per buona. Vostra Santità lo ha già deluso troppe volte".
"Ci avevo pensato anch'io", fece il papa un po' rincuorato, "e so che tu sei l'unico che può scriverla. In essa tu verrai proclamato il mio mallevadore e Ottone, a sentire il tuo nome, mi crederà".
"Santità, non vi fate false illusioni!" ribatté Ascanio scuotendo il capo. "L'imperatore ha dichiarato in più occasioni che vostra Santità, a parte i ripetuti tradimenti, sarà deposta e processata soprattutto per la sua scandalosa condotta".
"Tutto a causa dei cardinali diaconi Giovanni e Benedetto che hanno divulgato all'imperatore e al vescovo Liutprando alcuni episodi intimi della mia vita privata", sbottò irritatissimo il papa.
"Al cardinal Giovanni ho già fatto strappare il naso, la lingua e le tre dita benedicenti della mano destra e al cardinal Benedetto, se mi verrò tra le mani, farò strappare gli occhi".
"Le accuse, portate all'imperatore dai due cardinali e dai molti altri ecclesiastici durante il concilio di San Pietro, le conoscevano tutti a Roma perché vostra Santità non hai mai avuto la cautela di agire di nascosto ma ha sempre ostentato ai quattro venti le sue imprese scandalose. E molti nobilastri, compagni di sozzura di vostra Santità, con ignobile tradimento hanno rivelato tutto alle spie di Ottone. Anche l'ultimo sconvolgente episodio, conclusosi con la morte della giovane Priscilla, ha suscitato molta indignazione nell'imperatore".
"È stata una tragica fatalità e l'autore di questo doloroso misfatto è già stato punito con la morte", rispose il papa, con vivo imbarazzo. "Il tempo però stringe terribilmente", riprese subito dopo ansioso. "I miei informatori mi hanno comunicato che l'imperatore si trova a Spoleto e sta aspettando rinforzi per poi attaccare Roma. Prima che ciò accada la lettera deve partire".
"Perché vostra Santità ha tardato così tanto a prendere una simile decisione?" chiese Ascanio. Lui conosceva bene la causa di quell'assurdo ritardo, ma voleva farsela dire dal papa per saggiare la sua sincerità.
"Fino all'ultimo ho sperato che Adalberto, il figlio di Berengario II, accorresse in mio aiuto con una forte milizia, ma ora ho la certezza assoluta che mi lascerà solo e indifeso", rispose amaramente il papa. Era la pura verità e ciò convinse Ascanio che il papa era sincero.
"Comincerò subito a scrivere la lettera", riprese Ascanio, "ma per farlo dovrò conoscere l'atto di accusa che il vescovo Liutprando vi ha inviato a nome dell'imperatore e la replica da voi spedita da Viterbo".
"È la lettera più ignominiosa che mai un Pontefice abbia ricevuto", sbuffò il papa con visibile irritazione. "Oltre alle accuse più infamanti e all'annuncio della mia deposizione, vengo in essa definito un istrione e un mostro i cui vizi non sono redenti da alcuna virtù. Ho risposto come si doveva, minacciando a tutti la scomunica".
"Anche all'imperatore?" chiese Ascanio.
"A lui no, speravo ancora in una riconciliazione. Solo a tutti gli ecclesiastici".
"Meno male", fece Ascanio tirando un sospiro di sollievo. Non rinfacciò al papa il fatto, a lui noto, che la breve lettera inviata all'imperatore come risposta alla sua annunciata deposizione, era zeppa di errori grammaticali e aveva scandalizzato Ottone e gli ecclesiastici, mettendo a nudo le gravi carenze culturali del papa e del suo amanuense.
"Ti farò avere la lettera e la copia della mia risposta immediatamente", riprese il papa, "ma, per l'amor del cielo mettiti subito al lavoro, qui nelle mie stanze".
"No, Santità. Preferisco lavorare nella mia casa sull'Aventino. Lì, nella quiete assoluta del giardino che la circonda, potrò dettare al mio fidato amanuense le parole più acconce perché vostra Santità possa intercedere il perdono di Ottone".

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)