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venerdì 22 gennaio 2010

Inconciliabilità tra fede e scienza

Il vescovo di Verona Giuseppe Zenti e la scienziata Margherita Hack famosa astronoma, astrofisica, accademica dei Lincei, nonché atea di ferro e presidente onorario dell’Uaar (l’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti) hanno avuto un faccia a faccia a Verona davanti ad un migliaio di persone stipate in un auditorium con 400 rimaste all’aperto.

Il tema era «Dialogo su fede e scienza». Dialogo tra sordi, ovviamente, perché tra fede e scienza l'inconciliabilità è assoluta. Tommaso d'Aquino, il sommo teologo cattolico, che scrisse poderosi volumi di teologia, condensò tutta la sua fede nel celebre motto “credo quia absurdum”, credo cioè nonostante la religione mi proponga delle verità assurde, irrazionali e indimostrate.

Riconoscimento lapalissiano che non esiste alcuna prova oggettiva che dimostri l'esistenza di dio e che tutti i principi di fede, che costituiscono la religione cristiana, sono in aperto contrasto con la ragione. Un motto simile, per analogia, vale per qualsiasi altra religione. Infatti la religione, qualsiasi religione, su cosa si fonda? Soltanto sulla fede.

Ma che significa aver fede? Significa credere in una verità assoluta che non si può dimostrare e comprendere coi mezzi di indagine razionale. Una verità piovuta dall'alto che si accetta a scatola chiusa, senza poterla in alcun modo verificare. Esattamente l'opposto della scienza che poggia su verità oggettivamente verificate e dimostrate ma provvisorie perché la ricerca scientifica non ha limiti ed è in continuo divenire. Quindi, la fede è un insieme di supposizioni mitiche e fantastiche che spesso, come ci confessa l'Aquinate, sono così irrazionali da sconfinare nell'assurdo.

La Hack ha spiegato che scienza e fede oggi paradossalmente convivono ma non si parlano perché lavorano su piani diversi. “Dio è la più comoda delle risposte per spiegare il mistero che ci circonda” ha detto. “È l’invenzione con cui l’uomo spiega quello che la scienza non chiarisce. Siccome dispiace morire, fa piacere credere in un aldilà. Nell’antichità non si conosceva nulla dell’universo e lo si popolava di dei. Ora che la scienza ha scoperto grandissime verità, lo spazio di Dio si restringe”. Con la dimostrazione della veridicità della teria dell'evoluzionismo, aggiungo io, lo spazio di dio si è annullato.

Come ha risposto il vescovo? Con la solita irrazionalità fideistica avulsa da ogni dimostrazione oggettiva. “Dio c’è perché lo vivo, è la ragione d’essere di tutto l'universo. Mi ha svelato perché sono al mondo, perché vivo e dove approderò da morto. Toglietemi Dio e diventerò una larva”. Parole assurdamente farneticanti. La Hack ha avuto buon gioco a rispondergli: ”Quella di Dio mi sembra una soluzione infantile ed io alle favole non credo”. Naturalmente il Vescovo e tutti coloro che vogliono credere per credere sono rimasti nella loro fede cieca e irrazionale.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)