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domenica 17 gennaio 2010

“L'enigma svelato” (Il lato oscuro della verità) . Prima puntata.

Reggendo sul capo una pesante brocca, la giovane Giuditta attraversò il giardino ed entrò in casa. Depose il grosso recipiente nell'angolo più fresco della cucina e si volse alla sorellina Lia, che stava attizzando le braci nel focolare.
"Ancora non hai acceso il fuoco!", disse allarmata. "Fra poco tornerà la mamma e ci rimprovererà per la nostra negligenza".
"Ci sono quasi" rispose la bambina, soffiando con più vigore. "Ecco, si accendono" gridò subito dopo, trionfante. E, in fretta, coprì le braci con i ramoscelli secchi già pronti.

Fu in quell'istante che si udì all'esterno un lieve rumore di passi e una specie di fruscio. Le due sorelle si guardarono allarmate. Giuditta, camminando in punta di piedi, si affacciò alla porta di casa. Guardò nel giardino e nella stalla dell'asina, ma non vide nessuno. Si tranquillizzò e rientrò.
"Diamoci da fare" disse alla sorellina. "Prepariamo subito il pane". E cominciarono ad impastare la farina con l'acqua. Ma s'interruppero quasi subito.

Un furioso galoppare di cavalli, che diventava ad ogni istante più forte e distinto, s'avvicinava velocissimo alla loro casa, situata un po' fuori del villaggio. Le due sorelle si abbracciarono terrorizzate. Il rumore degli zoccoli si fermò, si udì un vociare concitato e la porta fu aperta con forza, quasi strappata dai cardini. Un soldato romano, armato di corazza e con la spada sguainata, entrò come una furia, mentre altri due suoi commilitoni si postavano ai lati della porta, e un terzo rimaneva prudentemente nel giardino.

"Dov'è?" gridò, in aramaico, con voce strozzata. E siccome le ragazze impietrite dalla paura non davano alcun cenno di risposta, riprese ancor più infuriato: "Sapete bene cosa vi succede a nascondere uno zelota, vi si brucia la casa". Poi, volgendosi in latino agli altri due soldati ordinò perentorio: "Cercate quell'assassino!" La sua ricca armatura e il piglio autoritario dimostravano chiaramente che era un centurione.

La casa fu rovistata da cima a fondo in brevissimo tempo, perché era molto piccola e non aveva quasi nessun mobile, all'infuori di una tavola, una specie di madia e dei letti. Fu rovistata anche la stalla vuota. Un soldato si arrampicò su un albero del giardino per controllare il tetto. Nessuno, assolutamente nessuno.
"Eppure, sono disposto a giurare su Giove che quel barbaro omicida è qui" gridò sempre più imbestialito il comandante romano. "L'abbiamo visto tutti entrare nel giardino".

Seguirono attimi di silenzio cupo e rabbioso. Proprio durante quei momenti di sospensione si udì come un leggero starnuto provenire dall'esterno.
"Centurione, è qui !", gridò il soldato che era rimasto all'esterno. Gli altri accorsero. Il ricercato si era nascosto sotto la paglia dell'asina ma il pulviscolo 1'aveva fatto starnutire. Seguì una breve colluttazione; poi, Simone lo zelota, fu immobilizzato.
Era pieno di escoriazioni e sanguinava da più parti, ma sfidava con uno sguardo beffardo il drappello che gli stava di fronte.
"Hai ucciso il mio migliore amico" disse il centurione con una calma soffocata, "pugnalandolo vigliaccamente alla schiena, come voi ebrei siete capaci di fare. Ma posdomani, a Gerusalemme, quando sul Golgota sarai inchiodato sulla croce, rimpiangerai di essere nato". E volgendosi agli altri due: "Legatelo!" ordinò.

Poi rientrò nella casa e si avvicinò alle due ragazze. Giuditta, pallida e con gli occhi sbarrati, tremava come una foglia. Il centurione la guardò con viva attenzione. Era bella, di una bellezza dolce e piena di languore. Il pallore, quasi terreo, nulla toglieva alla sua grazia. Era giovanissima, forse appena sedicenne; ma le sue forme, che s'intravedevano sotto la tunica bianca, apparivano ormai sbocciate, anche se acerbe.

Sebbene Giuditta, per paura e per pudica timidezza, cercasse di evitare lo sguardo del soldato, tenendo la testa china, quasi serrata sul collo e appoggiata al capo della sorella che teneva stretta, costui riuscì, sia pure per un breve attimo, a cogliere i suoi occhi neri e profondi. Ne rimase folgorato, ammagliato. Sentì un tonfo al cuore e un desiderio fortissimo di possederla. La sua decisione fu fulminea: la ragazza in cambio della casa. Si avvicinò e dapprima con dolcezza, poi con vigore, si diede a separarle. Ma dovette faticare un bel po' per riuscirci. Lia era quasi attanagliata alla sorella e scalciava da tutte le parti per difenderla. Alla fine il romano ebbe la meglio e consegnò la bambina ai soldati perché la custodissero all'esterno della casa e le impedissero di urlare. Quindi ritornò da Giuditta e con dolcezza la strinse a sé.

"Non tremare così !" le disse in modo gentile. Non era più il soldato imbestialito e violento di prima; era diventato dolce e umano. Cominciò a carezzarle il viso e sentì che lei s'irrigidiva tutta, come se si trasformasse in una statua di marmo.
"Ti risparmierò la casa e non ti farò alcun male, anzi ti farò provare un intenso piacere" riprese il centurione quasi in un sussurro; "ma devi essere gentile con me, ti prego".
La sollevò come un fuscello e la adagiò sul letto più grande. Giuditta si era messa a piangere sommessamente. La guardò con tenerezza e con una mano le asciugò le lacrime. Poi si tolse la corazza.

Fuori, due dei tre soldati stavano intanto legando il prigioniero; il terzo, che era il più anziano, col braccio destro teneva stretta la piccola Lia, che invano tentava di divincolarsi, e con la sinistra le chiudeva la bocca per impedirle di gridare. Quando la ragazzina parve essersi calmata, le tolse la sua grossa mano e la lasciò respirare liberamente, borbottando qualcosa in latino che lei non capì.

Lo zelota fu adagiato bocconi sull'erba, completamente immobilizzato da corde e ceppi, e i soldati si sedettero su alcune grosse pietre che si trovavano lì vicino. Avevano sete e si ricordarono della brocca piena d'acqua all'interno della casa, ma, per prenderla, dovevano aspettare che il centurione avesse compiuto la vendetta. Parlavano sottovoce, con gran naturalezza. Nonostante la situazione anomala, non facevano commenti. Il centurione non li avrebbe tollerati e poi c'era una bambina di appena sette anni, che, anche se non conosceva il latino, avrebbe potuto cogliere qualcosa dal loro tono di voce.

Per la piccola Lia il tempo sembrava non passare mai, anche perché dall'interno della casa non si avvertivano rumori di sorta. Finalmente giunsero delle voci sommesse e poco dopo la porta si aprì.
"Si parte subito" ordinò con piglio deciso il centurione, che non mostrava alcun imbarazzo per quanto aveva fatto.
"E la casa?" chiese il soldato più anziano, che nel frattempo aveva liberato la ragazzina, subito accorsa dalla sorella. "Non è più necessario bruciarla" rispose il centurione. "Il debito è stato pagato".

"Abbiamo sete e dentro c'è una brocca piena d'acqua. Possiamo prenderla?" chiese il più giovane dei soldati. "No. A meno di un quarto di miglio da qui c'è un pozzo dal quale possiamo attingere acqua per bere e rinfrescarci. Sistemate il prigioniero e partiamo. Già domani dobbiamo essere a Gerusalemme". E montò subito a cavallo.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)