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domenica 14 agosto 2011

L'enigma svelato (Il lato oscuro della verità) 80

L'indomani, conversando col fratello Giacomo, fu messo al corrente che Gionata negli ultimi tempi era molto cresciuto in ricchezza e prestigio e si era fatto costruire una nuova casa, circondata da uno splendido parco, in cui trascorreva gran parte dell'anno. Ormai si dedicava totalmente allo studio delle Scritture, che interrompeva soltanto per ricevere quanti venivano a consultarlo da ogni parte della Galilea.

Avendo raggiunto la più assoluta convinzione che Jahvè controllasse, personalmente, il più minuto rispetto dei dettami della Legge, si era dedicato in modo maniacale allo studio della Mishnà, cioè del metodo di esegesi delle Scritture, ed era arrivato a comporre un prontuario che gli consentiva di risolvere, quasi seduta stante, qualsiasi controversia religiosa inerente i dettagli più banali della vita quotidiana.

Ciò lo aveva reso famoso in gran parte della Galilea e numerosi rabbini e dottori venivano quotidianamente a consultarlo, con sua immensa soddisfazione. Ma anche la gente qualunque, che voleva rispettare rigorosamente tutti i dettami della Torà, si presentava di continuo alla sua porta, accolta sempre a braccia aperte.

Quando, ad esempio, l'umile popolano veniva a chiedendogli se il piatto che aveva incrinato accidentalmente si dovesse ritenere puro o impuro. "Impuro, impuro", rispondeva Gionata prontamente, con granitica sicurezza, dopo averci gettato uno sguardo. Se un altro chiedeva la dimensione esatta delle pagnotte, secondo la Legge: "piccole così", rispondeva mostrando col palmo della mano la misura esatta. Ma c'erano anche questioni più complesse.

Poteva un contadino usare un otre da vino acquistato da un gentile? "Dipende", rispondeva Gionata, assumendo un'espressione grave. "Se l'otre acquistata presenta un'apertura a foro rotondo, è impura; se a taglio diritto, pura". La casistica era infinita e riguardava ogni minuzia della vita quotidiana, dalla forma e grandezza delle ciotole e delle padelle, al taglio dei capelli e alla foggia del copricapo.

Per non parlare di tutti i più minuti dettagli della santificazione del sabato. "È lecito nel giorno del riposo, mettere il coperchio sopra il cibo caldo?" chiedeva il bigotto. "No", urlava Gionata, strappandosi le vesti dall'orrore. "È lecito, di sabato, sollevare un infermo perché possa adempiere le sue funzioni corporali?" "Nemmeno", rispondeva sempre più irritato. "In questo santo giorno il riposo deve essere assoluto", sentenziava imperioso.

Altra questione importantissima riguardava i rapporti sessuali. Sull'argomento le disquisizioni erano interminabili e spesso tempestose. C'era un dilemma che ancora non aveva chiarito e che gli faceva passare le notti insonni. Per rispettare il riposo del sabato si doveva versare il sale nella pentola riempita precedentemente di acqua o, viceversa, versare l'acqua nella pentola che già conteneva il sale? Era un dilemma terribile la cui mancata soluzione lo riempiva d'angoscia.

Il continuo andirivieni di rabbini, dottori e farisei, nonché di gente comune, gli avevano fatto crescere la fama di essere ormai uno dei massimi dottori della Legge. Questo alto riconoscimento, che lo riempiva d'orgoglio, era però amareggiato in quei giorni dal pensiero ossessivo di Davide che oltre ad averlo umiliato quando aveva difeso la vedova Marta, da poco era passato alla ribalta guarendo gli indemoniati, come aveva saputo in via riservata da un fariseo di Gerusalemme.

Il fatto che quel perfido mistificatore, illetterato e senza dottrina, avesse compiuto un simile prodigio e fosse tenuto in gran considerazione da importanti farisei della capitale, lo esasperava alla follia.

Per lui, ormai, era tutto chiaro: ci si trovava di fronte ad un pericolosissimo impostore, ad un falso profeta. Bisognava fermarlo subito. L'arma più sottile per riuscirci era la denigrazione, facendo leva sul fatto che era soltanto uno sconosciuto provinciale, senza scuola, senza autorità sancita dalla dottrina, senza riconoscimenti ufficiali.

Appena saputo dell'arrivo di Davide elaborò un piano preciso per smascherarlo davanti a tutti e, magari, riuscire a farlo lapidare dalla folla inferocita con l'accusa di essere un servo di Satana. Concordò col rabbino che, se Davide fosse entrato nella sinagoga, lo avrebbe invitato a leggere un brano che lui aveva scelto e lo avrebbe spinto a fame il commento. Al resto avrebbe provveduto lui.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)