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domenica 8 agosto 2010

L'enigma svelato (Il lato oscuro della verità) 30^ Puntata

Durante la cena, Davide e Giuda sembravano due distinti signori, vestiti com'erano con tuniche molto eleganti e tutti puliti, rasati e profumati.
"Tu sembri un principe" disse Giuda all'amico con sincera convinzione, "ma neanch'io, nonostante i miei limiti, sono proprio da buttare".

Era molto compiaciuto di sé e si pavoneggiava davanti ad uno specchio. Non si era mai visto così elegante e raffinato. Non smetteva di ringraziare Sara che gli aveva tagliato, o meglio squadrato, la barba alla foggia degli Egiziani.
La cena fu squisita. Davide si sentiva particolarmente euforico e su sollecitazione di Giuda, tra una portata e l'altra, raccontò il suo soggiorno in Egitto. Si espresse con viva eloquenza e affascinò tutti. Debora lo trovò meraviglioso.

"Quando parli" gli disse commossa, "usi parole toccanti ed espressioni poetiche che prendono il cuore di ognuno. Sei un essere decisamente superiore e, con chiunque, sai entrare fin da subito in una profonda intimità di sentimenti".

Egli stesso fu meravigliato del suo eloquio fluido e appassionato e dell'evidente fascino che esercitavano le sue parole ed ebbe il sospetto che, alla base della sua trasformazione, ci fosse lo zampino del vegliardo. Da quando aveva lasciato la sua famiglia, ne sentiva spesso la presenza e talvolta, durante le lunghe ore di cammino, aveva la netta sensazione che gli camminasse accanto e guidasse i suoi pensieri.

"Neanche Antipa stasera ha mangiato meglio di noi" fece Giuda con orgoglio alla fine del pasto e tutti convennero, anche la vecchia Sara che non aveva mai aperto bocca ma non aveva perso una sillaba del racconto di Davide, che avevano trascorso una serata meravigliosa e piacevolissima.

"Sei stato meraviglioso" disse Debora a Davide alla fine di un lungo e dolcissimo amplesso. "Con la tua tenerezza e il tuo amore hai saputo unire, in un appagamento totale, i nostri sensi, portandoli molto al di sopra della carne. Sei stato così capace d'abbandono e dedizione da farmi capire che l'essenza dell'amore è divina".
"Se non siamo capaci di darci con tutto il cuore e con tutto noi stessi ad un essere umano, come possiamo pensare di poterci dare a Dio", rispose lui commosso.

"lo mi sento come purificata, come se mi fossi tolta di dosso quel manto di fango che ho accumulato in tanti anni di vita dissoluta e ho capito, per la prima volta e con estrema lucidità, perché sono scesa così in basso" riprese Debora. "E' stato il mio odio per gli uomini, il mio spietato desiderio di vendetta nei loro confronti a ridurmi così. Solo tu potevi farmelo capire, il solo uomo puro e disinteressato che ho incontrato nella mia vita e che mi ha trattata da essere umano e divino insieme".

Lo strinse ancora a sé in un abbraccio quasi soffocante.
Seguirono attimi di silenzio carico di commozione.
"A questo punto, è giusto che tu sappia la mia storia" fece come se volesse liberarsi di qualcosa che la opprimeva dentro. "Avevo sedici anni ed ero già ardente e passionale, nonostante la mia giovane età, quando lo incontrai per la prima volta.

"Mi riferisco all'uomo della mia depravazione. Lo trovai subito bellissimo, affascinante e sublime. Diceva di amarmi e fin dal nostro primo incontro seppe darmi un immenso piacere. Era molto esperto nell'arte della seduzione e se ne vantava. Ma aveva sempre un sorriso ironico che mi metteva a disagio. Io l'amavo perdutamente.

"Se mi avesse chiesto di gettarmi nel fuoco per lui, l'avrei fatto senza esitare. L'amai per molti mesi offrendo tutta me stessa. Lui ne traeva un gran piacere e me lo faceva capire. Era un giovane raffinato e colto. Sapeva di greco e di latino e spesso andava a Damasco e ad Antiochia ad incontrare importanti filosofi coi quali discutere.

"Poi, a poco a poco, le cose cominciarono a cambiare e il suo comportamento nei miei riguardi si fece ambiguo. Diventava sempre più ironico, quasi beffardo, e sembrava accompagnarsi con me più per accondiscendenza che per amore. Cominciai a soffrire perché ero diventata gelosa e temevo la concorrenza di qualche altra donna. Un giorno lo misi alle strette per capire perché era così cambiato nei miei confronti".

"Un'altra donna?" mi rispose beffardo e stizzito. "Ne ho fin troppo di te e non mi serve nessun'altra. E, con sarcasmo, mi fece capire che le donne, se da un lato gli piacevano perché risvegliavano la carne e gli davano il piacere dei sensi, dall'altro gli rendevano lo spirito pesante. E mi trattò da essere immondo, quasi senz'anima, come fece il fariseo con Marta, la vedova.

Mi sentii umiliata e paragonata ad un verme schifoso. Non ci vidi più, e con la morte nel cuore lo scacciai per sempre. Tentò più volte di riallacciare il rapporto, ma non cedetti di un pollice. E per farlo soffrire, e so che ha sofferto moltissimo per questo, ho cominciato ad accompagnarmi con altri uomini. Volevo vendicarmi di lui, ma in realtà, ho soltanto distrutto la mia dignità. L'odio è la negazione dell'amore e di Dio.

Ho avuto centinaia d'uomini, tutti d'alto rango, potenti, talvolta anche colti, che mi hanno corteggiato con parole altisonanti e appassionate, ma dentro di loro mi consideravano soltanto un immondo giocattolo sessuale. Stavo al loro gioco ma erano loro alla fine ad apparire dei vermi striscianti. Ed io godevo della mia vendetta e della loro umiliazione e ignominia.

"Non mi ha mai interessato il denaro in sé, ma estorcere grosse somme a certi immondi individui, per appagare i miei capricci, mi ha sempre dato un immenso piacere. Ma ora per merito tuo mi sento cambiata. Oggi io ti ho reso uomo, ma tu mi hai dato la consapevolezza della mia ignominia ed anche della mia dignità umana e divina. Da oggi Debora non sarà più una meretrice e si riapproprierà del suo corpo e della sua anima".
Lo teneva ancora stretto a sé in un ultimo appassionato abbraccio, come in un supremo, disperato abbandono, prima del definitivo addio al suo torbido passato.

"E come farai a vivere?" chiese Davide perplesso.
"Ho accumulato una fortuna più che discreta, nonostante il mio scialare per stupidi capricci. D'ora in poi mi limiterò ad amministrarla con oculatezza. Per cominciare venderò la mia casa lussuosa e mi ritirerò in posto tranquillo e anonimo dove nessuno mi venga a cercare e riprenderò i contatti con la mia famiglia che non ha mai smesso di amarmi".

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)