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domenica 21 marzo 2010

L'enigma svelato (Il lato oscuro della verità) 10^ Puntata

La carovana giunse puntuale all'alba dell'ottavo giorno. Il capo, di nome Abdull, accolse con gran deferenza Isacco e la sua famiglia e diede loro una sistemazione che rese comodo e quasi piacevole il lungo viaggio. In particolare Giuditta e il suo bambino furono sistemati in una specie di baldacchino, issato su di un cammello, che consentì loro di rimanere seduti o sdraiati per l'intero percorso. Il viaggio durò quasi due settimane.

Ogni sera la carovana si fermava in un luogo prestabilito, nelle cui vicinanze c'era sempre un pozzo d'acqua potabile. Veniva subito allestito un villaggio di una ventina di tende, una delle quali riservata alla famiglia di Isacco, e si accendevano i fuochi per cuocere le focacce e preparare il cibo. Poi, dopo la consumazione del pasto, tutti rientravano nelle tende a dormire, coperti da pesanti pelli di pecora e sotto la protezione delle sentinelle.

Attraversarono campagne, deserti e oasi e costeggiarono laghi e zone paludose. A mano a mano che si avvicinavano al delta del Nilo, splendidi templi, maestosi monumenti, spesso fiancheggiati da statue gigantesche di marmo bianco, si facevano sempre più frequenti. Isacco e Giuditta, che conoscevano soltanto alcuni palazzi di Gerusalemme, ben poca cosa a confronto delle monumentali costruzioni che si presentavano davanti ai loro occhi, apparivano increduli e sbalorditi di tanta magnificenza.

Finalmente giunsero ad Alessandria che apparve a loro una città immensa, splendida, caotica ma anche molto rumorosa e palesemente corrotta. Le strade erano larghissime (quelle di Gerusalemme al loro confronto parevano viottoli) costeggiate da enormi palazzi e abbellite di filari di alberi. In esse circolava una baraonda di gente proveniente da tutto il mondo allora conosciuto.

Le botteghe si susseguivano una all'altra, piene d'ogni ben di Dio. Mettevano in mostra ogni sorta di carne, compresa quella proibita in Israele, molte specie di frutta, alcune delle quali completamente sconosciute in Palestina, molti tipi di vino e d'altre strane bevande, e vestiti, gioielli, droghe e profumi. C'erano persino imbalsamatori che praticavano la loro arte per la strada. E tutti gridavano a squarciagola per attirare l'attenzione dei passanti sulla loro merce e per celebrarne qualità e prezzo.

La maggior parte delle donne erano vestite in modo lussuoso e anche provocante, con ampie scollature che mettevano in risalto parte del seno. Il viso, completamente scoperto, era spesso truccato in modo vistoso: labbra color rosso fuoco, occhi cerchiati di nero, gote bianche di cipria; il collo era adornato con collane d'oro o di lapislazzuli; i capelli erano acconciati in fogge strane e fissati con diademi o pettinini dorati; infine le braccia e le mani mostravano braccialetti preziosi e anelli con gemme e brillanti.

Quello che maggiormente colpi Isacco e Giuditta fu la disinvoltura con cui le donne egiziane avvicinavano gli uomini, trattandoli alla pari e con fare provocante. Un'altra cosa che li lasciò sbalorditi fu osservare che molti giovani, assai belli per la verità, erano truccati alla foggia delle donne e ostentavano un atteggiamento lascivo nei confronti d'altri uomini. Cose del genere non le avevano viste mai in Palestina e nemmeno immaginato che esistessero.

Per fortuna il quartiere in cui era stata fissata la loro casa era abitato prevalentemente da ebrei, molto numerosi in quella città, ed era tranquillo, silenzioso e castigato nei costumi. Isacco e Giuditta tirarono un sospiro di sollievo quando vi si furono sistemati, e appena fu loro possibile si recarono a visitare la sinagoga e a fare la conoscenza del rabbino.
Costui, senza mezzi termini, li mise subito in guardia intorno alle superstizioni di cui erano vittime le donne ebree del luogo. Molte di loro, infatti, custodivano segretamente amuleti di divinità egizie e d'altri culti, soprattutto del Dio Min al quale si rivolgevano per chiedere il dono della fertilità. Essi rimasero sfavorevolmente colpiti dalle parole del rabbino e quasi si pentirono di aver accettato l'offerta d'Ibrahim. Non avevano minimamente pensato di trovarsi in un mondo così totalmente diverso dal loro e così pericoloso, sotto il profilo morale e religioso.

La casa, in cui erano andati ad abitare, si apriva in un ampio cortile sul quale si affacciavano altre case abitate da famiglie non tutte di origine ebraica. Fra queste ce n'era una greca, una egiziana e perfino una romana. Quella greca era di un imbalsamatore di nome Filippo, originario di Corinto. Costui aveva un figlio di nome Nestore di circa tre anni e una moglie greca di Siracusa. Era gente rumorosa ma simpatica e allegra. La famiglia egiziana era molto povera con tre figli magri e macilenti. Fra questi c'era una bambina, di nome Nefer, sempre malata. Piangeva spesso e non sorrideva mai. Faceva molta pena e tutti cercavano di consolarla. Infine c'era la famiglia romana con cinque figli, tutti maschi, che andavano dai tre ai dodici anni. Il padre era un liberto che aveva una bancarella sulla via e vendeva frutta e verdura. La moglie e i due figli più grandicelli lo aiutavano nel suo commercio.

Durante il giorno i bambini giocavano assieme nel cortile, sotto lo sguardo vigile delle loro mamme. Era impossibile tenere separati i bambini ebrei dagli altri perché, si sa, i bambini tendono a mischiarsi tra loro per giocare insieme. E, tramite i bambini, che spesso entravano e uscivano da una casa all'altra, anche le famiglie ebraiche e non, un po' alla volta si erano amalgamate tra loro, almeno per quel tanto che la differenza di linguaggio lo permetteva. I bambini, invece, sembravano non essere ostacolati dal fatto che parlavano idiomi diversi. In breve avevano appreso quel tanto della lingua degli altri, da poter giocare assieme senza problemi.

Giuditta, inizialmente, era rimasta appartata col suo bambino e aveva stretto amicizia soltanto con le altre famiglie ebraiche. Poi, un po' alla volta, soprattutto per merito di Davide, che era un bimbetto molto intelligente e socievole e che subito, nonostante la tenerissima età, aveva fraternizzato con tutti gli altri bambini, era stata costretta, dapprima suo malgrado e poi con un certo piacere, a stringere amicizia con l'ambiente.

Isacco, durante il giorno, era quasi sempre assente da casa perché occupato a lavorare nella villa d'lbrahim. Lo venivano a prendere di primo mattino con un piccolo cocchio e lo riportavano nel pomeriggio inoltrato. Aveva sotto di sé alcuni garzoni e doveva provvedere alla costruzione di porte e serramenti, e alla posa delle travi e dei soffitti. Per la costruzione dei mobili c'erano falegnami più esperti, i quali, però, lo tenevano in gran considerazione e spesso richiedevano il suo parere.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)