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domenica 28 marzo 2010

L'enigma svelato (Il lato oscuro della verità) 11^ Puntata

La costruzione della villa procedeva bene e Ibrahim n'era molto soddisfatto ma, ciononostante, i tempi si pronunciavano lunghi a causa dell'imponenza e della magnificenza dell'edificio. Ibrahim era un personaggio molto importante e ricchissimo. Intimo del re Tolomeo XIV, costruiva quella villa gigantesca e meravigliosa per accogliere degnamente il sovrano d'Egitto quando fosse venuto a fargli visita. Il suo sogno era di superare in magnificenza tutte le dimore dei massimi dignitari di corte.

La famiglia di Isacco conduceva una vita riservata e tranquilla. Usciva di casa soltanto per andare alla sinagoga o per far visita al rabbino. Non frequentava le vie più importanti della città se non molto raramente e per necessità. Le strade immense, i grandi palazzi e soprattutto, di sera, le migliaia di torce disseminate sui capitelli delle innumerevoli colonne degli edifici, li intimidivano e li frastornavano.

Non vedevano l'ora di rientrare nel loro quartiere tranquillo e buio. A dire il vero, Isacco si augurava di ritornare al più presto a Cana perché la permanenza ad Alessandria gli diventava sempre più difficile, ma non si faceva illusioni sulla rapida realizzazione di questo suo desiderio, perché l'opera nella quale era coinvolto si rivelava ogni giorno più lunga e complessa.

Col passare del tempo Davide, perfettamente a suo agio nel nuovo ambiente, cresceva meravigliosamente bene. Tra i ragazzi del cortile era il più ricercato per la sua socievolezza e allegria. La piccola Nefer, dal cui volto sembrava fosse scomparso per sempre ogni sorriso, gli si era subito affezionata e lo chiamava di frequente. Egli non tardò a trasmetterle il suo buon umore e la bimbetta parve come rinascere. Cominciò ad aprirsi, a voler giocare anche lei, a sorridere.

La sua salute migliorò rapidamente e un po' alla volta si ristabilì del tutto. Era inseparabile da Davide e lui la trattava come una sorellina. Spesso la invitava a casa a mangiare e talvolta la faceva pernottare da lui. Era diventato anche molto amico di Nestore, il figlio del greco imbalsamatore, e di Marcello, il figlio del liberto romano. Erano quattro amici inseparabili e, nonostante le differenze linguistiche e religiose, andavano perfettamente d'accordo.

Isacco era un po' perplesso e non troppo contento delle amicizie del figlio ma si rendeva conto che non c'erano alternative. La sera, dopo il lavoro, da buon padre ebreo, leggeva al figlio un brano della Scrittura, traducendoglielo in aramaico, e poi ne faceva un lungo commento. In realtà i rotoli dai quali leggeva, erano scritti in ebraico, linguaggio antico e poco conosciuto dagli ebrei. Era usato quasi esclusivamente dai sacerdoti del Tempio, dai rabbini e dai dottori della Legge. Egli lo aveva imparato dallo zio Zaccaria durante la sua permanenza a Efrem.

Davide seguiva con estrema attenzione queste piccole lezioni religiose e interloquiva con domande molto acute che sorprendevano i genitori. Era evidentemente un bambino superdotato. Egli era molto attratto dai segni misteriosi che vedeva tracciati nei rotoli sui quali il padre leggeva e chiedeva con insistenza che gli fosse insegnato il modo di decifrarli. Ma Isacco gli rispondeva che ancora non era venuto per lui il tempo di imparare a leggere. Non sapeva che Nestore, il figlio dell'imbalsamatore Filippo, per gioco lo stava addestrando a decifrare qualche parola di greco e a scriverla sulla sabbia del cortile.

I quattro amici, infatti, erano molto curiosi e acuti e assimilavano con rapidità tutto quanto si presentava ai loro occhi. I geroglifici erano per loro oggetto di grande interesse e n'avevano memorizzato parecchi. Marcello, inoltre, recitava spesso interminabili filastrocche latine e gli altri tre le ripetevano perfettamente, senza peraltro coglierne appieno il significato. Insomma il loro linguaggio era un miscuglio di egiziano, greco, latino e aramaico, un'autentica babele di lingue che faceva impazzire i genitori ma che a loro risultava perfettamente comprensibile e perfino divertente.

Nestore, ad esempio, era abilissimo ad iniziare un discorso in greco per poi proseguirlo in aramaico, in latino ed in egiziano. Una vera acrobazia linguistica. Il cortile, per i quattro amici, era un'autentica palestra nella quale esercitare il corpo e la mente e sviluppare entrambi. E tutto questo senza l'intervento di nessuno degli adulti.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)