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martedì 19 luglio 2011

La legge truffa sul fine vita

(Post contro il DDL Calabrò, pubblicato da don Paolo Farinella sul suo blog)

La vendetta è compiuta. Il Parlamento al soldo di Bertone e, in questo caso anche della Cei, si è vendicata di Beppino Englaro e della sentenza della Corte di cassazione che ha riconosciuto la liceità di porre fine ad un dramma disumano che vita non era perché essere un vegetale non è più vita da essere umano. Il Parlamento ha votato una legge infame che obbliga il medico a staccare la spina solo se «è accertata assenza di attività cerebrale», cioè quando l’individuo ormai è morto.

E’ un delirio da qualsiasi punto di vista la si guardi e gli pseudo-legislatori non se ne rendono conto, o, se se ne rendono conto, sono doppiamente colpevoli perché la loro scelta, anzi, imposizione, è un atto di protervia, un sopruso, una violenza non solo della coscienza, ma anche di quella «legge naturale» con la quale tanto spesso fanno i gargarismi per placare gli spasmi della loro ingordigia ideologica. La legge è un atto contro la magistratura che viene esautorata completamente e senza una riforma costituzionale.

Il parlamento venduto aggira e svuota  anche l’articolo 32 della Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizioni di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».

Il cardinale Angelo Bagnasco ha detto che «la legge non è una legge “cattolica”, ma rappresenta un modo concreto per governare la realtà e non lasciarla in balia di sentenze che possono a propria discrezione emettere un verdetto di vita o di morte». Questa è la prova che essa è una prova di forza tra il potere religioso che agisce per interposto Parlamento e un Parlamento che non rappresenta più nessuno. In caso di referendum, questa legge-truffa verrebbe spazzata via all’unanimità.

Imporre la nutrizione e l’idratazione forzate, a prescindere dalla volontà dell’individuo, significa non rispettare la natura, la quale, se non vi fosse accanimento meccanico, accompagnerebbe a morte naturale con più mitezza e più rispetto. In questo modo si prolunga all’infinito una sofferenza, anche disumana, fine a se stessa, altro che rispetto della vita.

Se fosse rispetto della vita, allora tutti costoro che hanno firmato questa legge o che l’hanno voluta o che hanno contribuito ad averla, dovrebbero, se fossero coerenti, armarsi di borraccia e saccoccia e andare in Africa, in India, in Italia, in Cina… nel mondo e, testo alla mano, dovrebbero obbligare con la forza tutti coloro che muoiono di fame e di sete a lasciarsi nutrire e a idratarsi.

Il diavolo è anche umoristico, a volte. La legge che impone di sospendere le cure quando uno è ormai morto, è stata varata quasi contemporaneamente all’approvazione della legge finanziaria, una vergognosa ammucchiata a tarallucci e vino tra maggioranza e opposizione.

Questa legge uccide l’Italia, affama i pensionati, violenta i bambini, le donne, gli operai, i poveri, i malati, i vecchi e lo stesso governo fa varare una legge per  «difendere la vita». No, non c’è più religione, non vi sono nemmeno le stagioni e Dio se ne è andato nel deserto a squagliarsi al sole, sgomento da tanto cinismo omicida. I cardinali invece plaudono, beoti.

Se non fanno questo, vuol dire che quella legge vale solo per affermare chi comanda in Italia e non per salvare una sola vita. Senza tenere presente che volere costringere a restare in vita apparente, ad ogni costo, è anche un atto che contraddice, per i cristiani, la risurrezione e la vita oltre la morte.

Se costoro che si trastullano con i principi cattolici fossero almeno religiosi, dovrebbero correre verso la morte che è «il luogo» dell’incontro con il Signore della vita, anche e specialmente oltre la morte. Se fossero religiosi dovrebbero pregare di morire, loro, perché il desiderio di Dio dovrebbe folgorarli. Invece prendiamo atto che vogliono imporre a tutti di piangere in questa valle di lacrime e vorrebbero pure che anche i non credenti vi piangano cantando.
Don Paolo Farinella

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)