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domenica 18 aprile 2010

L'enigma svelato (Il lato oscuro della verità) 14^ Puntata

Ester e la figlia Lia erano intente a preparare la cena che consisteva in pane senza lievito, un po' di agnello arrosto alle braci e delle erbe amare. Aspettavano il ritorno di Cleofe per cenare assieme. Ad un tratto sentirono un certo trambusto nel giardino. In un primo momento pensarono che fosse Cleofe che scaricava la legna raccolta per la campagna, come faceva spesso.

Ma delle grida infantili le fecero sussultare. Accorsero alla porta e subito alte espressioni di gioia si alzarono in cielo. Lia, come trasognata, si fermò un attimo a guardare Davide e il fratellino che si tenevano per mano con un'espressione smarrita. Poi si precipitò ad abbracciarli entrambi, piangendo di gioia. Intanto Giuditta stringeva Ester tra le sue braccia e Isacco contemplava la scena sorridendo felice. Poco dopo arrivò anche Cleofe e la festa fu completa.

In tanti anni d'abbandono, la casa di Isacco si era resa fatiscente. Ci vollero alcuni mesi di duro lavoro per rimetterla a nuovo. Con l'aiuto di alcuni provetti muratori, Isacco riuscì a renderla molto più attraente di prima. Ibrahim lo aveva ricompensato generosamente e quindi non aveva problemi di denaro. Anche la bottega fu restaurata e ampliata e per di più arricchita di molti utensili da lavoro, per quei tempi nuovissimi, che egli era andato a comprare personalmente a Cafarnao. Il lavoro non tardò ad arrivare.

La fama di quanto aveva fatto a Efrem era giunta anche in quella zona, e dai villaggi limitrofi cominciarono a presentarsi clienti danarosi. Dovette assumere un paio di garzoni e cominciò anche a portare con sé nel lavoro il piccolo Davide, che ormai aveva dodici anni, dapprima per qualche ora il giorno, poi, a mano a mano che cresceva, per l'intera giornata.

Ogni mattina Davide andava a scuola nella sinagoga, assieme agli altri ragazzi del villaggio. Il metodo d'insegnamento era quello orientale: si metteva in mano ai fanciulli un libro delle Scritture, l'hazzan o maestro ne leggeva un versetto, i fanciulli lo ripetevano in cadenza finché l'avevano memorizzato, e poi lo trascrivevano. In tal modo imparavano a leggere e a scrivere. A Davide non piacque molto quel metodo basato sulla memoria e la ripetitività, ma capì subito, da bambino intelligente qual era, che doveva adattarsi al nuovo clima.

Naturalmente, date le esperienze linguistiche fatte in Egitto, si rivelò subito molto più abile dei suoi coetanei ad imparare a leggere e a scrivere l'aramaico, suscitando l'ammirazione del maestro e l'invidia, per non dire l'ostilità, dei suoi compagni. Coi quali, a dire il vero, egli stentava molto a legare. Li trovava chiusi, molto formalisti, e litigiosi per ogni nonnulla. Non fece mai parola con nessuno, nemmeno col maestro, del periodo trascorso in Egitto e delle meravigliose esperienze che aveva fatto coi suoi amici egiziani.

Ma il loro ricordo dolcissimo invadeva ogni giorno, prepotentemente, la sua mente e gli stringeva il cuore, mentre qualche lacrima nascosta gli scendeva sul viso. Quasi tutte le sere, steso sul pagliericcio assieme a Joses, aspettava che il fratellino si addormentasse per poi colloquiare con la fantasia coi suoi compagni d'Egitto, parlando ora in greco, ora in latino e ora in egiziano.

Col fratellino le cose non andavano molto bene. Joses era piuttosto diverso da lui, sia nel fisico che nel carattere. Più scuro di pelle, aveva capelli neri e ricci, occhi grandi, molto belli e nerissimi, e un corpo robusto. Tutti affermavano che assomigliava parecchio al nonno Cleofe, papà di Giuditta. Davide, al contrario, era chiaro di pelle, coi capelli lisci di un castano dorato e gli occhi di un verde intenso. Era asciutto, slanciato, e faceva presagire una statura più alta della media.

Anche nel carattere i due fratelli erano diversissimi. Joses era chiuso e in casa non parlava quasi mai. Piuttosto scontroso, non gradiva gesti affettuosi e carezze e preferiva starsene da solo. Non accettava rimproveri e bastava uno sguardo severo per farlo immusonire per intere giornate. Era anche molto geloso del fratello, senza che ci fossero motivi particolari che giustificassero questo sentimento.

Aveva, però, anche delle buone qualità. Era sempre scrupolosamente pulito e non era mai ozioso, nonostante la sua giovanissima età. Guardava perplesso il fratello che invece amava starsene seduto e immobile a pensare per lungo tempo. Davide gli voleva bene e, comprendendo il suo carattere scontroso e permaloso, lo trattava sempre con gran dolcezza. Ma lui stava sulle sue e non accettava confidenze da nessuno.

Nonostante col fratello e coi compagni i rapporti fossero talvolta difficili, Davide usava con tutti molta amabilità e gentilezza e mai entrava in conflitto con chicchessia. Le sue coetanee lo guardavano con grande interesse, non solo perché era bello ma anche per la sua dolcezza. C'era sempre un dolce sorriso sul suo viso, anche se talvolta velato da un tocco di malinconia.

C'era una persona, però, che l'amava con grandissimo affetto e che lui contraccambiava alla pari, la zia Lia. Aveva per quel suo nipote una tenerezza infinita, mista ad una grande ammirazione per la sua bellezza, la sua gentilezza e la sua intelligenza. Forse a renderlo a lei così caro era stata la drammatica vicenda legata alla sua nascita. Ogni giorno lo andava a trovare e sempre lo copriva di tenerezze e di baci. Probabilmente era questo il motivo che suscitava in Joses, che si sentiva meno considerato dalla zia, una certa gelosia per il fratello.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)