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domenica 25 aprile 2010

L'enigma svelato (Il lato oscuro della verità) 16^ Puntata

Lia si era fatta nel frattempo una ragazza bellissima e molte mamme, che avevano figli in età di matrimonio, la guardavano con interesse. Davide era da poco rientrato dall'Egitto e aveva poco più di dodici anni quando una sera, mentre era nella casa dei nonni, vide entrare i genitori del giovane Alfeo e capì al volo lo scopo di quella visita. Guardò la zia con lo smarrimento negli occhi, ma lei lo strinse a sé e gli disse: "Non temere, tu resterai sempre il mio nipotino prediletto".

Il matrimonio tra Lia e Alfeo fu concordato rapidamente, come si costumava a quei tempi, e celebrato dopo qualche mese. Davide ne soffrì parecchio e quando la zia annunciò che aspettava un figlio fu preso da una forte gelosia nei confronti del nascituro. Non appena, però, ella mise alla luce un bellissimo maschietto, cui fu posto il nome di Giacomo, Davide gli si affezionò così tanto da non avvertire più nessuna gelosia nei suoi confronti e da considerarlo quasi più fratello di Joses. La zia era stata di parola, aveva conservato verso il nipote il suo grande affetto di prima e lo aveva trasmesso anche ad Alfeo e Davide veniva sempre accolto festosamente nella loro casa.

Nel frattempo Giuditta si rese conto di aspettare il terzo figlio, con gran gioia di Isacco che desiderava una famiglia numerosa. Anche questa volta nacque un maschietto cui fu posto il nome di Giacomo. Tutti furono felici dell'arrivo di un nuovo membro nella famiglia all'infuori di Joses che non mostrò alcuna emozione. Anzi non tardò a manifestare nei confronti del fratellino, prima indifferenza, poi fastidio e, infine, qualche forma d'ostilità. Lo infastidiva molto se piangeva e si rifiutava di badare a lui anche per poco tempo. Nonostante il carattere duro e chiuso di Joses, che creava qualche problema, la famiglia cresceva in grand'armonia ed era molto ben vista da tutti. Il lavoro di Isacco, che procedeva sempre bene, assicurava benessere e serenità.

Joses manifestò ben presto pochissima propensione per la scuola e tanta per il lavoro. A scuola era svogliato e litigava spesso coi compagni. Il maestro, com'era nei tempi, lo puniva con la verga, ma lui non si piegava ai castighi e continuava a rifiutare la scuola. Sicché Isacco, con gran dispiacere, lo tolse dalla sinagoga prima del previsto e lo portò in bottega. E lì avvenne la sua metamorfosi. S'interessò moltissimo al lavoro, rivelando doti notevoli d'abilità e di creatività. Dimostrò un interesse particolare all'intaglio e alla scultura. I suoi motivi erano foglie, frutti e fiori che sapeva riprodurre con rapidità e maestria e che suscitavano la meraviglia di tutti.

Di nascosto, però, contravvenendo a quanto stabilito dalla Legge che vietava nel modo più assoluto la riproduzione d'esseri umani, scolpiva in bassorilievo, ma anche a tutto tondo, piccole figure di squisita fattura. Era insomma un artista nato. Per merito suo il lavoro nella bottega aumentò perché i ricchi mercanti della zona, che già subivano l'influsso della Grecia e di Roma, cominciavano ad avvertire l'esigenza di circondarsi d'oggetti raffinati. Ciò suscitava, d'altra parte, rabbiose reazioni da parte di alcuni farisei che vedevano di malocchio questa penetrazione pagana nel costume ebraico, fino allora privo di ogni esigenza estetica.

Col passare del tempo Davide cresceva in bellezza e intelligenza. Un po' più alto dei suoi coetanei, col corpo asciutto e ben proporzionato, aveva un aspetto molto aggraziato che colpiva chiunque lo avvicinasse. I suoi capelli di color castano dorato, gli occhi verdissimi e intensi, il colorito chiaro della pelle, appena ambrata per effetto del sole, e, soprattutto, l'espressione amabile e dolce del suo viso, lo riempivano di fascino e facevano sì che tutti lo notassero e lo guardassero con interesse. Le ragazze lo rubavano con gli occhi e molte mamme ambivano in cuor loro di averlo come genero.

Ma Davide era piuttosto distratto e indifferente a questo proposito. Pur comportandosi con affabilità e dolcezza con tutte le ragazze, specie quando entrava nelle case per motivi di lavoro (Joses non gradiva molto i contatti con la gente e preferiva lavorare in bottega) alla fin fine lo sentivano assente, come assorto in qualche cosa, per loro, d'inesplicabile.

Non amava la compagnia e dopo il lavoro, se non andava da Lia e dal cugino Giacomo, verso cui aveva una predilezione particolare, s'intratteneva raramente coi compagni della sua età, troppo diversi da lui e molto limitati nei loro interessi. Preferiva passeggiare da solo tra il verde ridentissimo della campagna, sedersi all'ombra di un olivo o di una vite, ascoltare il canto degli uccelli, guardare in lontananza le montagne azzurre che esercitavano su di lui un fascino particolare.

Talvolta saliva sull'altopiano vicino, sempre battuto da una dolce brezza, e di lì contemplava il panorama che si apriva ai suoi piedi: le misere casupole del villaggio, la sinagoga che pareva troneggiare in mezzo ad esse, i pozzi, attorno ai quali c'era sempre un intenso viavai di ragazze, qualche frantoio isolato, le tombe intagliate nella roccia, le macchie grigie e verdi formate dagli olivi e dalle vigne. Lì rimaneva solitario anche per un paio d'ore, finché il sole non tramontava di là dei monti, sempre assorto nei suoi pensieri e nei suoi ricordi.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)