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domenica 23 settembre 2012

In nomine Domini 31


Giovanni XII non era nelle sue stanze.
"Quando non è qui", fece Cassio, "è senz'altro nella sua scuderia. Ama i cavalli più delle persone e li visita almeno tre volte al giorno".
"È vero che li nutre personalmente con fichi secchi e mandorle?, chiese Ascanio con ironia.
"Lo dice il popolino", rispose Cassio ridendo.
Le scuderie circondavano un ampio cortile che serviva come piazza d'armi e alloggiavano i cavalli delle guardie di Palazzo Laterano, addette alla protezione del papa, e i cavalli personali di Giovanni XII. Erano tenute in perfetto ordine e il maestro di scuderia aveva alle sue dipendenze più di cinquanta persone. Il papa esigeva che i suoi cavalli fossero accuditi con la massima cura perché cavalcare e cacciare erano le sue occupazioni preferite.
Quirino, maestro di scuderia, accolse Ascanio con gran deferenza ma anche con manifesta simpatia. Lo conosceva da vecchia data e per molti anni, al tempo di Alberico, gli aveva fornito il cavallo per le sue missioni.
"Sua santità ti sta aspettando", disse ad Ascanio. "Sembra di ottimo umore", aggiunse sottovoce, strizzando l'occhio. Infatti il giovane papa, che stava accarezzando con affetto il suo baio preferito, appena vide Ascanio corse ad abbracciarlo con calore.
"Ottime notizie, mio caro diacono", disse con fare esultante. "I miei informatori mi fanno sapere che l'imperatore ha letto la mia lettera e dopo aver ascoltato la perorazione del vescovo Otcherio l'ha fatta leggere anche alla sua augusta consorte Adelaide, che, non dimentichiamo, è stata un tempo cognata di mia madre Alda. Pare che la lettera abbia ottenuto un certo effetto sull'imperatore perché ha convocato in fretta il suo segretario e l'amanuense. Entro qualche giorno leggeremo la risposta e se, come sento dentro di me, sarà favorevole, aggiusteremo ogni cosa e tu diventerai, come un tempo, il mio unico e indiscusso consigliere. Ti farò naturalmente cardinale e questa volta non puoi rifiutare anche perché così diventerai il mio unico plenipotenziario. Ho saputo anche che Ottone aspetta rinforzi prima di attaccare Roma. Quindi abbiamo un po' di tempo a nostra disposizione. Ah dimenticavo", aggiunse con noncuranza, "ho fatto arrestare il nobile Macuto per alto tradimento".
Ascanio ascoltò in silenzio le parole del papa: pur non condividendo l'ottimismo del giovane, ben sapendo che l'imperatore era fin troppo esasperato dai tradimenti di Giovanni XII, cominciò a provare un po' di fiducia nel buon esito dell'impresa. Chiese invece spiegazioni sul tradimento del nobile Macuto, che gli risultava del tutto incomprensibile.
"Ho ricevuto poco fa il messaggio di Adalberto che aspettavo con ansia. In esso il figlio di Berengario II mi mette al corrente del doppio gioco di Macuto e mi rivela che è stato lui a far fallire la congiura che a gennaio avevo ordito contro Ottone per catturarlo o ucciderlo qui a Roma. Tu sai che allora mi ero rifugiato a Tivoli, per sfuggire all'imperatore, ma avevo lasciato a Roma, nascosto nelle paludi del Tevere, il capo delle mie milizie, il coraggioso Brunone. Quando costui mi informò tempestivamente che l'imperatore, ormai sicuro di controllare la situazione, aveva licenziato parte delle truppe perché non gravassero troppo sulla città e si era installato in Vaticano con una piccola drappello di imperiali, gli proposi di assalirlo nottetempo e di catturarlo vivo o morto. Se l'impresa fosse riuscita sarei rientrato a Roma come un trionfatore e Berengario II sarebbe diventato imperatore al posto di Ottone. Brunone non perse tempo. Radunò un manipolo di fedelissimi, circondò di soppiatto la residenza imperiale e la attaccò di notte fidando nella sorpresa. Ma Ottone era stato avvertito da Macuto il quale, essendo il capo del partito anti tedesco, era al corrente del piano, così la congiura fallì in un bagno di sangue. Lo scontro si ripeté il giorno dopo sul Ponte Sant'Angelo e si concluse col massacro di centinaia di romani e l'uccisione dell'eroico Brunone. Sono certo che l'impresa sarebbe riuscita se Macuto non ci avesse tradito".
"Confesso a Vostra Santità che la rivolta avvenuta in gennaio mi aveva molto meravigliato per la sua insensatezza", commentò Ascanio. "Ora mi rendo conto dei retroscena che l'avevano provocata".
"Ho dato disposizioni che sia preparato contro di lui l'atto d'accusa per alto tradimento, e che dopo il processo per direttissima, venga subito consegnato al boia. Devo disfarmi di quello scellerato traditore prima dell'arrivo di Ottone", concluse il papa. "Ma cambiamo argomento. Cos'hai appreso di nuovo dall'esame dei rotoli?", riprese manifestando un vivo interesse alla cosa. "Mi è spiaciuto molto mancare all'appuntamento. Ma domani ci sarò di certo."
Ascanio lo ragguagliò con dovizia di particolari e dai commenti sinceri ed entusiasti che ricevette scoprì che l'interessamento papale era legato, oltre al vivo desiderio di migliorare le sue scarse conoscenze religiose, soprattutto alla grande simpatia e ammirazione che il venerando monaco Simone gli ispirava.
Al momento del commiato, Ascanio chiese al papa perché aveva deciso di celebrare, la domenica successiva, un pontificale in San Pietro. Non c'era alcuna particolare ricorrenza che lo giustificasse. Di fronte all'evidente imbarazzo del papa, il diacono intervenne dicendo: "Forse Vostra Santità con questa solenne cerimonia vuole impetrare l'aiuto divino per la buona riuscita delle conciliazione con l'imperatore?"
"Esattamente", rispose il papa, che finalmente aveva trovato una giustificazione plausibile per questa celebrazione non prevista. E fatto chiamare Cassio gli ordinò di inviare araldi per tutta Roma che invitassero la popolazione a pregare e a partecipare compatta all'imminente pontificale inteso a impetrare l'intervento divino per una pace definitiva tra la Chiesa e l'Impero.
Mentre conversavano amabilmente, giunsero nelle stanze del palazzo e lì trovarono la giovane Eudossia, sorella del papa. Proveniva da palazzo Teofilatto e si precipitò subito ad abbracciare e a baciare con vivo trasporto il fratello che la accolse commosso e deliziato. Quando s'avvide di Ascanio, che era stato per alcuni anni anche un suo precettore, s'illuminò di gioia e lo volle abbracciare e baciare sulle gote. Era sempre stata molto affettuosa con tutti e somigliava come una goccia d'acqua alla madre Alda, figlia di re Ugo. Eudossia si sedette quasi in grembo al fratello che non smetteva di accarezzarla e di baciarla. Le loro manifestazioni di affetto erano sempre piuttosto eccessive e morbose e suscitavano nei presenti un certo imbarazzo. Molti erano convinti che tra i due fratelli ci fosse un rapporto incestuoso, ma Ascanio lo escludeva categoricamente. Però Liutprando nella lettera di accuse che aveva inviato al papa a nome dell'imperatore lo aveva imputato anche d'incesto.
Sentendosi di troppo durante quell'incontro affettuoso tra i due fratelli, Ascanio chiese licenza di ritirarsi nel suo orto e mentre s'allontanava sentì il papa che invitava la sorella a pernottare in Laterano durante quella notte.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)