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domenica 30 settembre 2012

In nomine Domini 32


Come di consueto, seguendo l'abitudine del padre Alberico che non aveva mai amato poltrire nel letto, Giovanni XII si alzò molto presto l'indomani e mentre il fido Cassio gli preparava la colazione fece una capatina alle scuderie per salutare i suoi cavalli. Li amava di tutto cuore ed essi contraccambiavano il suo affetto. Al suo ingresso nella stalla il papa veniva accolto con nitriti e scalpitii di gioia che lo mandavano in solluchero. Anche quella mattina si ripeté il consueto cerimoniale e dopo averli accarezzati e baciati ad uno ad uno, il papa salì nelle sue stanze.
"Trovo che Vostra Santità è molto sollevata oggi", disse con deferenza il fido Cassio, mentre serviva la colazione.
"Puoi ben dirlo", rispose con un sorriso il giovane papa. "Le cose, pare, si stanno mettendo bene. E ciò anche per merito tuo che mi hai dato il saggio consiglio di richiamare il diacono Ascanio".
"Sono grato a Vostra Santità per le lusinghiere parole nei miei confronti", rispose umilmente il servitore e riferì che Roma era tutta ansiosa di assistere al suo pontificale per impetrare da Dio la conciliazione con l'imperatore.
"Se le cose si aggiusteranno", riprese il papa con un mesto sorriso, "dovrò cambiare radicalmente vita e non potrò più prendermi certe licenze. Sicuramente Ottone mi farà pedinare dai suoi segugi, per controllare ogni mia azione. Insomma dovrò rigare dritto, e forse è meglio così. Ma per intanto mi rimangono ancora alcuni giorni di libertà e se il pontificale avrà successo e la giovane misteriosa verrà ad assistervi, non voglio perdere l'occasione di conoscerla e conquistarla. Sarà la mia ultima, folle avventura e la ricorderò senz'altro come uno dei momenti più radiosi della mia vita".
"Sono certo che il piano funzionerà e ho già predisposto con ogni cura come pedinarla, con la massima discrezione, all'uscita della chiesa", aggiunse Cassio.
"Senza dare nell'occhio e senza scandali, per l'amor del cielo", riprese Giovanni XII. "Durante l'omelia del cardinale arcidiacono, mentre me ne starò seduto sul trono papale rivolto al pubblico, fingerò di raccogliermi in me stesso e così avrò modo di scrutare, inosservato, le prime file dei fedeli. Se la scorgerò, fingerò di aggiustarmi la tiara e a quel segnale farete scattare la trappola".
"Meraviglioso!", concluse Cassio e si predispose ad aiutare il papa nella sua vestizione mattutina.
Giovanni XII era molto affezionato al suo fido servitore e voleva essere servito soltanto da lui. Gli dava anche molta confidenza, specie quando ritornava dai festini tenuti coi nobili romani, durante i quali le libagioni non si contavano. Quegli erano i momenti più brutti per Cassio. Il giovane papa in preda all'ebbrezza diventava intemperante, si spogliava nudo e si abbandonava a lascive manifestazioni d'affetto. Toccava a Cassio smorzare quegli eccessi, con dolcezza ma anche con piglio sicuro, e a non cader mai nella trappola di accondiscendere alla confidenza che riceveva ma di mantenere sempre le distanze che il suo ruolo esigeva. Il papa era consapevole di tutte queste attenzioni del suo servitore e lo stimava e amava moltissimo.

Simone accolse con un ampio sorriso i due illustri ospiti. Trovava il giovane papa molto simpatico e gli piaceva la sua aria bonacciona e amichevole.
Giovanni XII dopo averlo abbracciato, non pese tempo in convenevoli ed entrò subito nel merito della questione.
"Ascanio mi ha messo al corrente in modo dettagliato di tutto quello che avete esaminato finora", disse. "So perfino chi erano gli esseni, che finora non avevo mai sentito nominare, e so che gli apostoli era tutti briganti".
"Non proprio briganti", fece Simone divertito, "ma dei ribelli che volevano cacciare i romani oppressori. Oggi vedremo che la crocifissione", riprese il monaco, "conferma appieno la missione esclusivamente messianica di Gesù e che essa non ha niente a che vedere con l'accusa di blasfemia, tirata in ballo dai nostri Vangeli. Se infatti Gesù si fosse proclamato figlio di Dio, sarebbe stato lapidato sic et sempliciter dalla folla inferocita perché avrebbe contravvenuto al principio fondamentale della Legge mosaica: il monoteismo. E non sarebbe stato necessario scomodare un esercito di soldati e infliggergli la crocifissione, la più ignominiosa delle condanne, riservata solo ai ribelli. E i romani della sua lapidazione se ne sarebbero altamente infischiati".
"Ho sempre avuto l'impressione che l'accusa di blasfemia fosse incompatibile con l'urgenza dell'arresto, la complicità di un traditore e lo spiegamento di forze" espresse Ascanio.
"Infatti l'arresto avvenne di notte, alla vigilia di una ricorrenza sacra, importantissima per gli ebrei, e quindi era palesemente illogico e illegale" chiarì Simone. "E poi, che bisogno c'era che un traditore con un bacio ne evidenziasse la persona, dal momento che Gesù, a detta degli stessi evangelisti, era conosciutissimo in tutta Gerusalemme e da tutte le personalità del Tempio, comprese le guardie. Una settimana prima era entrato nelle città santa tra un tripudio di gente che lo aveva acclamato festosa come figlio di Davide e nuovo re d'Israele. E nel Tempio discuteva tutti i giorni coi sacerdoti e i farisei di teologia e di giustizia e ne aveva scacciato i mercanti che lo profanavano.
"E, infine, come spiegare che per arrestare un inerme e mite propugnatore della non-violenza e dell'amore del prossimo, occorresse una coorte di soldati romani, come è confermato anche dal nostro evangelista Giovanni? Cioè seicento legionari armati di tutto punto.
"Questo Vangelo spiega chiaramente che Gesù fu arrestato non per la sua scarsa ortodossia religiosa ma perché, convinto di essere il Messia profetizzato dalle Scritture, nella notte del Monte degli Ulivi voleva attuare un colpo di Stato, fallito per l'opposizione dei sacerdoti e degli erodiani. In questo senso si spiega anche il tradimento di Giuda, che altrimenti non avrebbe alcuna spiegazione".
"Mi è sempre parso del tutto assurdo il comportamento di Giuda in questa circostanza", rivelò Ascanio.
"Il compito del traditore, infatti", spiegò subito il monaco, "non fu quello di indicare il personaggio col bacio convenuto, che come abbiamo visto in precedenza era noto a tutta Gerusalemme, ma di avvertire i sacerdoti tempestivamente che la sommossa stava per avere inizio, al fine di cogliere i rivoltosi di sorpresa e di bloccare l'insurrezione sul nascere. Ecco allora perché i sacerdoti aspettavano un segno dal traditore e perché era intervenuto un vero esercito. Ciò spiega anche il comportamento dei seguaci di Gesù all'arrivo dei soldati. Uno degli apostoli, secondo Giovanni l'apostolo Pietro, fece un tentativo di resistenza, estrasse una spada e tagliò netto l'orecchio di un servo del sommo sacerdote, di nome Malco".
"Mi sono chiesto più volte come mai in quel ritiro pacifico di uomini in preghiera, come viene descritta dagli evangelisti la velia sul Monte degli Ulivi, c'erano degli individui armati", si chiese Ascanio perplesso.
"In questo Vangelo si accenna addirittura ad un vero scontro tra i seguaci di Gesù e la coorte romana", fece Simone. "Esaminando attentamente il quarto Vangelo, ove si parla di indietreggiamento e di caduta a terra dei soldati durante l'arresto, ho avuto la conferma che, indubbiamente, ci fu uno scontro vero e proprio, qualcosa di molto grave, insomma".
"E dopo l'arresto di Gesù che cosa accadde, secondo questo Vangelo?, chiese Ascanio.
"Gesù fu rinchiuso nella Torre Antonia, sede dal presidio romano. Non fu condotto, come testimoniano confusamente i nostri evangelisti, nella casa privata del sommo sacerdote Caifa per un sommario processo esclusivamente ebraico. Il processo ebraico, leggiamo nel secondo rotolo, fu inventato e inserito dai seguaci di Paolo, allo scopo di scagionare i romani della responsabilità di aver condannato Gesù e per farla ricadere esclusivamente sulle spalle del popolo ebreo. L'unico vero processo fu quello davanti a Pilato per sedizione armata".
"E la fine di Giuda come è raccontata in questo testo?" chiese curioso il papa.
"Questo apostolo che col suo tradimento aveva fatto fallire l'impresa del gruppo, avvertendo il Tempio dell'incipiente rivolta, fu giustiziato secondo il metodo seguito abitualmente dagli zeloti per punire i traditori: gli fu squarciato con la spada il ventre e le sue viscere furono sparse al suolo. Ciò è confermato anche negli Atti".
"E il comportamento degli apostoli, dopo l'arresto di Gesù?", chiese Ascanio.
"Convinti che con la crocifissione del loro capo e il mancato intervento delle schiere celesti il tentativo messianico fosse fallito, si diedero ad una fuga ignominiosa. Si erano illusi di sedere alla destra o alla sinistra del trono del nuovo re d'Israele e si trovavano rintanati nei pressi della piscina di Siloe, tremanti d'orrore e di paura", spiegò Simone.
"E la morte crudele e ignominiosa di Gesù trova conferma in questo testo?" chiese Ascanio.
"Con un'importante sottolineatura riguardante lo smarrimento di Gesù al momento della morte, espresso dalla storica frase: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato. Smarrimento inconcepibile se Cristo fosse stato il figlio di Dio che s'immolava per la salvezza dell'umanità, ma chiarissimo per un aspirante Messia che, avendo fermamente creduto nell'intervento di Jahvè per aiutarlo a restaurare il regno di Davide, constatava con disperazione l'abbandono divino e il fallimento della sua missione. Nel testo sono totalmente ignorati anche gli eventi soprannaturali, quali: eclissi, terremoti, frane, resurrezioni e lo squarciamento nel Tempio del velo che nascondeva la Sancta Sanctorum, che secondo i sinottici accaddero al momento della morte di Gesù".
"E la resurrezione, l'evento più significativo della nostra santa religione, senza la quale la nostra fede non avrebbe senso, come viene sentita in questo Vangelo?", chiese il giovane papa.
"Come l'atto di nascita del cristianesimo. Quando Maria di Magdala corse ad annunciare agli apostoli che aveva trovato la tomba del Maestro vuota, lo sconforto e lo smarrimento di fronte alla fine ignominiosa del loro capo, si dileguarono per incanto e si fece strada nelle loro menti la convinzione che Gesù, ritenuto da essi il Messia di discendenza davidica, si era trasformato, in seguito alla sua resurrezione, nel Messia Martirizzato, nel Figlio dell'Uomo profetizzato da Daniele, che sarebbe risorto e asceso al cielo alla destra di Dio Padre, per tornare di lì a poco sulla Terra circonfuso di potere e di gloria per riscattare definitivamente Israele dai suoi oppressori. Questa convinzione si diffuse rapidamente tra i seguaci di Gesù e fu alla base della nascita del loro movimento poi chiamato cristianesimo.

"Qui termina il racconto del primo rotolo. La successiva evoluzione dei primi cristiani giudei e le molteplici trasformazioni e invenzioni operate da Paolo, viene raccontata nel secondo", concluse Simone.
"Per oggi ci accontentiamo di questo", fece il papa tirando un lungo sospiro. "Ne abbiamo sentite di cotte e di crude e certamente avremo di che riflettere a lungo. Lunedì, all'indomani del mio pontificale in San Pietro, ritorneremo ad affrontare il secondo rotolo, che, immagino, ci riserberà molte altre sorprese. Penso di interpretare anche il pensiero del diacono Ascanio se dichiaro che l'esposizione del venerando Simone è stata quanto di più chiaro e completo ci potessimo aspettare". E con un gesto istintivo abbracciò affettuosamente il vecchio monaco prima che questo riuscisse a sollevarsi in piedi in segno di rispetto.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)