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domenica 9 settembre 2012

Lenigma svelato 29


Al rientro in Laterano, Ascanio venne a sapere da Cassio che il papa aveva trascorso una meravigliosa giornata, cacciando un branco di cinghiali tra le paludi della campagna romana. Si era rifocillato e riposato, dopo quella lunga e faticosa battuta, e lo stava aspettando nel suo studio. Infatti il giovane papa era di ottimo umore per la splendida giornata trascorsa e perché le guardie lo avevano appena avvertito che avevano catturato il prete Azzo.
"Quell'infame, che mi ha accusato davanti ad Ottone di incesto con mia sorella e di giocare ai dadi invocando Satana e Venere", sbottò il papa furente, "accuse che il vescovo Liutprando mi ha rinfacciata nella sua lettera, si era nascosto in un tugurio sulla riva destra del Tevere, in mezzo agli acquitrini, dove vivono molti briganti. I quali si sono guardati bene dal fargli del male, gl'infami, anzi lo proteggevano. Gli farò strappare le lingua e tagliare la mano, così non potrà più diffamare nessuno e giurare il falso". Era molto soddisfatto per quella inaspettata cattura e perché le guardie erano certe di stare per individuare anche il nascondiglio del cardinale prete Benedetto, il suo principale accusatore davanti ad Ottone. "Quello, se lo prendono, voglio strozzarlo con le mie mani".
Appena si fu un po' calmato volle ascoltare con attenzione il resoconto della giornata. Ascanio in forma sintetica e chiara informò il papa su quanto aveva appreso dal venerando Simone, soprattutto sulla setta degli esseni, della quale Giovanni XII non aveva mai sentito parlare e che trovò interessantissima. Il diacono ebbe la sensazione che il giovane papa si fosse sinceramente appassionato alla conoscenza del contenuto dei rotoli. Infatti espresse il suo vivo rammarico per non poter essere presente il giorno successivo perché attendeva un messaggero di Adalberto, figlio di Berengario II, che doveva rivelargli importanti retroscena sul fallimento della congiura contro Ottone, fallita all'inizio di quell'anno.
Quando Ascanio lo ragguagliò sulle cattive condizioni di salute del cardinale Giacomo, e quindi della sua impossibilità ad occuparsi dei beni dello Stato, il papa si mostrò molto contrariato. "Ho assoluto bisogno di voi due" sbottò preoccupato. "Tutto, ormai, sta andando a rotoli. Le casse di San Pietro sono vuote. Lo scellerato Macuto ha dilapidato il poco che era rimasto e tra pochi giorni dovrò versare il soldo alle milizie. Con l'assedio che Ottone ha posto intorno al territorio di San Pietro, non c'è speranza che arrivino pellegrini ed anche le case di piacere sono in crisi".
Il diacono Ascanio si rese conto che la preoccupazione del Pontefice era sincera e ciò gli fece comprendere che, finalmente, il giovane papa stava maturando un nuovo senso di responsabilità per il suo alto ufficio. Cercò allora di rassicurarlo. Promise che appena raggiunta la riconciliazione con l'imperatore, avrebbe lui personalmente affrontato il problema finanziario, se il cardinal Giacomo non fosse ancora disponibile. Aveva in mente, ma non lo disse al papa, di spremere per la circostanza, la ricca ed esosa nobiltà romana, magari con l'appoggio dell'imperatore.
Le sue parole sollevarono immediatamente Giovanni XII e gli fecero riprendere il suo consueto buon umore. Al momento del commiato egli volle abbracciare e riabbracciare il vecchio diacono, che sentiva ormai come un padre saggio e autorevole, e un'ancora di salvezza.
Il giorno seguente Ascanio trascorse la mattinata nel suo orto a leggere i Pensieri di Marco Aurelio e a riflettere sugli avvenimenti di quei giorni intensi. Sentiva nascere in sé un leggero ottimismo dopo mesi di oppressiva preoccupazione, durante la quale aveva temuto non tanto per la sua persona, ormai prossima al grande passo, al quale si sentiva già preparato da tempo, ma per la sua città, per il governo della quale aveva speso tanti anni della sua vita.
L'ungaro Beda gli scodinzolava attorno come un cagnolino, felice di rivedere il suo padrone. Aveva, con l'aiuto di certi contadini della zona, create nuove aiuole di fiori e piantati molti ortaggi e andava molto fiero del suo lavoro.
Nel pomeriggio Ascanio fu condotto nel l'ex cenobio di Simone per proseguire l'esame degli antichi rotoli dato che il papa ara ancora in ansiosa attesa del messo di Adalberto.

"Eravamo rimasti agli esseni", cominciò Simone, dopo alcuni convenevoli. "Infatti in questo Vangelo si accenna ad un periodo di permanenza di Gesù nel deserto di Giuda presso gli esseni, dove avrebbe ricevuto il battesimo di iniziazione a questa setta e ne avrebbe assimilata l'ideologia fondamentale, cioè l’aspettativa apocalittica dell’imminente liberazione d’Israele, per opera del Messia, aiutato delle schiere celesti di Jahvè. Lì, inoltre, avrebbe incontrato vari esponenti messianici e capi zeloti, diventando un fervido sostenitore della rivolta armata contro i romani. Verso i trent'anni iniziò in Galilea la sua attività pubblica itinerante seguito da quattro fratelli: Giuseppe, Simone, Giuda e Giacomo, e da una sorella di nome Maria, come la madre ".
"E gli apostoli?" intervenne Ascanio.
"Attorno a Gesù si formò ben presto una schiera di fedelissimi", spiegò Simone, "dai nostri Vangeli chiamati impropriamente apostoli. In realtà erano dei messianisti, cioè dei guerrieri decisi a tutto per liberare la loro terra dai romani. Alcuni di questi furono chiamati col nome di battaglia, come Simone Zelota, che significa il Ribelle, Giuda Taddeo, che significa il Coraggioso, Simone Bariona, che in aramaico non significa figlio di Giona, come si racconta nei nostri Vangeli, ma ribelle con un altro termine. Simone era chiamato, per la sua durezza, anche Cefa, cioè pietra. In realtà tutti i cosiddetti apostoli appartenevano alla setta degli zeloti e avevano il loro nome di battaglia".
"E qual era esattamente il messaggio evangelico?" chiese il diacono.
"Era un misto di messianismo e di ascetismo esseno perché Gesù assommava due caratteristiche: quella del Messia che aspirava alla liberazione di Israele e alla restaurazione del Regno di Davide, e quella esseno-ascetica e sociale che propugnava il ritorno integrale alla Legge e alla costituzione di uno stato santo. Ecco quindi l’annuncio dell’imminenza del Regno di Dio, l’esaltazione dei poveri, dei miseri, dei diseredati, come viene precisato nel Sermone della Montagna; l’invito a distribuire i propri beni ai bisognosi e a non giurare; le pesanti rampogne di Gesù contro i poteri corrotti della società giudaica: sacerdoti, scribi farisei.
"Quindi Gesù veniva considerato solo come il realizzatore dell'era messianica e non come il figlio di Dio che s'immola sulla croce per la salvezza dell'umanità", chiarì Ascanio.
"Esattamente", spiegò il monaco. "L'era messianica era intesa come la perfetta realizzazione del regno di Dio in Terra, un regno egualitario, dove gli ultimi sarebbero stati i primi e dove i debiti sarebbero stati condonati e la povertà una libera scelta di vita. Il Messia quindi si prefigurava come colui che doveva non solo liberare il suo popolo dalla dominazione straniera, ma anche a riportarlo nelle condizioni morali e religiose volute da Javé per la costituzione di uno Stato santo. In questo senso si collocano molte espressioni evangeliche di questo testo ma anche dei nostri Vangeli, cariche di valenze morali, sociali e perfino politiche, che sono sintetizzate nel Discorso della Montagna e vanno sotto il nome di Beatitudini".
"Ma come si concilia il ruolo messianico e rivoluzionario di Gesù col messaggio dell'amore verso il prossimo e perfino del perdono per i nemici?", chiese Ascanio perplesso.
"Devi capire che tutte le espressioni evangeliche dei nostri testi canonici che invitano al pacifismo, alla non-violenza e all'amore verso i nemici, non furono mai pronunciate da Gesù perché improponibili e assurde al suo tempo", chiarì Simone. "Avrebbero suscitato lo scandalo e la pronta e violenta reazione contro di lui degli zeloti, dei sicari e dell'intera popolazione che vedevano nei romani dei nemici da odiare e da distruggere senza pietà. Quindi furono aggiunte posteriormente da Paolo di Tarso e dai suoi seguaci, come vedremo in seguito, quando Gesù fu demessianizzato. Solo il Discorso della Montagna, che noi consideriamo oggi, a ragione, il culmine della spiritualità evangelica, e in cui si esprime tutta l'attenzione verso i poveri, i derelitti e gli umili è l'autentico messaggio di Gesù dedotto dagli esseni. Anche il perenne contrasto tra Dio e Mammona, cioè tra Dio e il denaro, era sempre presente nei discorsi di Gesù, come chiara dimostrazione che l'amore per la ricchezza era un ostacolo per la salvezza".
"Ma se Gesù esprimeva le istanze di gran parte della popolazione ebraica perché fu messo a morte?" chiese Ascanio.
"In questo Vangelo è spiegato che molti ebrei, specie di condizione sociale più elevata, come i grandi sacerdoti, gli erodiani e la maggior parte dei farisei, non condividevano l'ideale messianico di Gesù, perché consapevoli della sua irrealizzazione e delle feroci repressioni che ne sarebbero derivate, ed erano a lui apertamente contrari e lo osteggiavano in tutti i modi, arrivando perfino a tentare più volte di lapidarlo. Naturalmente Gesù ricambia, nel testo in oggetto, questi suoi avversari di un uguale, se non di un maggiore disprezzo bersagliandoli con ingiuriosi epiteti, come: ipocriti, sepolcri imbiancati, insensati, ciechi e razza di vipere".
"Furono dunque questi nemici di Gesù a portarlo alla morte?," chiese ancora il diacono Ascanio.
"Per l'appunto", rispose Simone. "Furono i grandi sacerdoti e i più in vista degli scribi e dei farisei, che costituivano il sinedrio, cioè il consiglio supremo d'Israele creato per giudicare e dirimere le controversie religiose e per controllare l'ordine pubblico, ad osteggiare apertamente Gesù. Sarà infatti questo supremo tribunale a decretare la sua condanna a morte, non per motivi religiosi, cioè la blasfemia, come vogliono farci credere i nostri Vangeli, ma per motivi politici, denunciando a Pilato il tentativo di insurrezione armata contro Roma, ancor prima che Gesù e i suoi seguaci lo mettessero in atto".

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)