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martedì 18 settembre 2012

Qual è il denominatore comune di ogni religione? Paura e ignoranza.


Come ci spiega Lucrezio nel “De rerum Natura”, è stata la paura a creare gli dèi. Sono stati i terrificanti fenomeni planetari: terremoti, eruzioni vulcaniche, inondazioni, incendi spontanei, violente perturbazioni atmosferiche e così via, ad inculcare nel nostro antenato cavernicolo la convinzione che degli esseri invisibili e potenti, gli dèi, fossero le cause dei quei terrificanti fenomeni. Occorreva cercare di placare queste entità oscure e invisibili con riti magici e sacrifici di animali e perfino di esseri umani. 

Ecco allora gli aztechi squarciare ogni giorno il petto di un uomo, per garantirsi il sorgere del sole, e altre tribù, nei momenti di pericolo, ricorrere all’omicidio propiziatorio, sacrificando una vergine, un bambino o un prigioniero, per placare gli dèi. Chiedete a un selvaggio che cosa fa muovere il vostro orologio: vi risponderà: “Uno spirito”. Così l'uomo primitivo fortemente terrorizzato - e quando si ha paura si cessa di ragionare e il cervello turbato crede a tutto e non esamina più niente - si è persuaso che gli dei, nonostante fossero incomprensibili e invisibili, erano per lui la cosa più essenziale. 

Ignoranza e paura, ecco quindi i due fondamenti di tutte le religioni che per spiegare l'inconoscibile inventano una causa irrazionale e indimostrata. I selvaggi che abitano il Paraguay si considerano discendenti dalla Luna, e li consideriamo degli imbecilli. I teologi cattolici si considerano discendenti da un puro spirito e li riteniamo intelligenti. Nel tentativo di
formulare delle spiegazioni infantili e irrazionali di ogni aspetto della natura avversa che potesse dare delle risposte al loro ineludibile bisogno di conoscenza e di sicurezza si sono creati nella mente dei nostri antenati primitivi dei memi (specie di marchi psichici analoghi ai geni replicanti del nostro Dna) che ottenebrarono la loro mente con le più assurde credenze religiose. 

Questi poi si sono trasmessi di padre in figlio, come una tara malefica, perché i capi religiosi, sempre più gratificati nel loro ufficio di potere e ricchezza, hanno operato con molta avvedutezza insegnando agli uomini i falsi princìpi religiosi prima che essi fossero in grado di distinguere il vero dal falso, o la mano sinistra dalla mano destra. Sarebbe difficile ammaestrare un uomo di quarant’anni fornendogli le nozioni incoerenti che ci vengono dette sulla divinità, ma è altrettanto difficile scacciare quelle nozioni irrazionali dalla testa d’un uomo che ne sia stato imbevuto dalla più tenera infanzia. Nella loro sublime stoltezza i credenti, incapaci di accusare Dio di malvagità, considerano i più duri colpi della sorte come prove indubbie della bontà celeste. Se sono immersi nel dolore, credono ciecamente che Dio li ama, che Dio li protegge, che Dio vuol metterli alla prova. Così la religione è arrivata a mutare il male in bene! 

La religione, in ogni epoca, non ha fatto che riempire lo spirito umano di tenebre e infelicità, e mantenerlo nell’ignoranza dei suoi veri rapporti, dei suoi veri doveri, dei suoi veri interessi. Solo mettendo in fuga le sue nebbie e i suoi fantasmi scopriremo le fonti della verità, della ragione, della morale, e i motivi reali che devono condurci alla virtù. 

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)