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venerdì 9 dicembre 2011
I dogmi mariani
La madre di Gesù non fu mai oggetto di culto o di venerazione presso gli Apostoli, né tanto meno per Paolo che nelle sue Lettere, dichiarando che Gesù era “nato da donna” (Galati 4,4) la considerò alla stregua di tutte le altre.
Fu la divinizzazione di Gesù, imposta per volontà di Costantino nel Concilio di Nicea del 325, a determinare tutta una serie di implicazioni dottrinali riferite a Maria, che, progressivamente, diedero inizio dal IV secolo al culto mariano.
Poiché Gesù, divinizzato come Figlio di Dio, era stato partorito da una donna, bisognava assegnare a questa sua madre terrena delle caratteristiche se non divine, almeno semi-divine.
Il primo passo fu di considerare il concepimento di Cristo opera di Dio e non di uomo. Ecco allora l’inserimento, nei Vangeli di Luca e di Matteo, dell’annunciazione (ignorata dagli altri due evangelisti) e sicuramente appiccicata a posteriori se lo stesso Girolamo, autore della Vulgata, la metteva in dubbio. A compimento di questo primo passo, nel 431 d.C., con il concilio di Efeso, alla Madonna venne attribuita ufficialmente la qualifica di Deipara, cioè di madre di Cristo inteso come Dio e come uomo, superando le molte perplessità di quanti ritenevano improponibile, per non dire blasfemo, che un essere umano potesse essere la madre di un Dio.
I Vangeli riferiscono concordi, e in più occasioni, che Gesù aveva fratelli e sorelle, e Paolo nelle sue Lettere lo conferma. Ma se Maria avesse generato altri figli, come narrano i Vangeli, il concepimento teogamico di Gesù sarebbe stato dubbio e inoltre il Gesù-Dio avrebbe dovuto spartire la sua divinità coi fratelli. Per negare queste ipotesi fu giocoforza dichiarare la verginità di Maria e relegare i fratelli al ruolo di cugini.
Mai gli apostoli e Paolo avevano affermato che la madre di Gesù fosse vergine e che suo figlio fosse stato concepito da seme divino. In un Vangelo siriaco assai antico, l’attuale versetto di Matteo 1,16 che recita: “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo”, recita invece “A Giuseppe, al quale la fanciulla era fidanzata, essa generò Gesù” (Nestle, Novum Testamentum graece et germanice, Matteo 1,16).
In base a questo antichissimo documento, Giuseppe è quindi il padre di Gesù, Maria non è vergine e neppure sposata quando genera il figlio. Per noi oggi Gesù sarebbe nato da una ragazza madre o da una coppia di fatto.
Fino al III secolo non solo si ignorava la perenne verginità di Maria ma tutti i Padri della Chiesa, come ad esempio Ireneo e Tertulliano, erano convinti del matrimonio effettivo di Maria e di Giuseppe. Fu intorno al 400 che il Padre della Chiesa Girolamo, nel suo libro Contro Gioviano, formulò l'ipotesi che i fratelli e le sorelle che i Vangeli attribuiscono a Gesù, fossero in realtà dei cugini, e questa tesi assurda fu pienamente abbracciata dalla Chiesa e considerata, da allora, la dimostrazione assoluta della verginità di Maria.
Così il Concilio Lateranense del 649, presieduto da papa Martino I, stabilì con un dogma che “la santa Madre di Dio sempre vergine immacolata Maria... ha concepito senza seme per opera dello Spirito Santo e ha partorito senza corruzione, permanendo indissolubile anche dopo parto la sua verginità” (D. 256 [DS. 503]). Cattolici e ortodossi ne sono tuttora convinti, i protestanti, meno creduloni, no.
Ma voci di dissenso che negano la verginità di Maria si sono sempre fatte sentire nel mondo cattolico, e anche al giorno d’oggi eminenti teologi, come Schnackenburg, Pesch e Lohfink, sostengono – in opposizione all’enciclica Redemptoris Mater del 1987 di papa Wojtyla – che il concepimento verginale biologico da parte di Maria non è verità di fede biblica e quindi non si può scartare a priori l’ipotesi che Gesù abbia avuto fratelli e sorelle.
La vicenda di Maria, però, non finisce qui. Quando Agostino rispolverò il peccato originale che, commesso da Adamo ed Eva, si è trasmesso geneticamente all’intera umanità per cui noi tutti nasciamo con questa tara e abbiamo bisogno del battesimo per togliercela, Maria sarebbe stata a sua volta infettata dalla colpa primigenia e l’avrebbe trasmessa anche al suo pargolo divino. Come rimediare? Semplice, dichiarando che Maria era stata concepita immacolata.
Ma l’esenzione di Maria dal peccato d’origine trovò una forte opposizione in eminenti teologi del passato, come Bernardo di Chiaravalle, Tommaso d’Aquino, Bonaventura, Alessandro di Hales e dall’intero ordine dei frati dominicani, tanto è vero che alcuni di costoro, per questo motivo, finirono sul rogo a Berna il 31 maggio 1509.
Questi oppositori, in pieno accordo con Agostino, ritenevano che la trasmissione del peccato d’origine avvenisse attraverso l’atto sessuale e quindi solo Gesù ne sarebbe stato immune in quanto concepito teogamicamente e non sessualmente. Maria, no. Ma Pio IX nel 1854, considerandosi già allora infallibile come pontefice, non tenendo in alcun conto Agostino e gli altri teologi e dottori che la pensavano diversamente, sancì il dogma dell’Immacolata Concezione.
Sistemata definitivamente la questione del concepimento immacolato di Maria, rimaneva un altro problema in sospeso. La Madonna: Vergine nel concepimento, Vergine incinta, Vergine nel parto, Vergine madre, Vergine perpetua, madre di Dio e concepita immacolata, cioè senza il peccato di Adamo che comporta la morte, poteva morire e disperdere le sue carni, che avevano generato Dio, nella terra come tutti i mortali? Mai più!
Così Pio XII nel 1950, col dogma dell’Assunzione, decretò che la Madonna, al momento del trapasso, in un tripudio di angeli, salì incorrotta al cielo (perdendo la cintola durante l'ascensione, tuttora venerata nel duomo di Prato) smentendo la tradizione, trasmessaci dalla Chiesa delle origini, secondo la quale Maria, dopo la morte, era stata sepolta nei pressi del Getsemani.
E qui, per il momento, la storia di Maria, che da quanto deduciamo dai Vangeli altro non era che la madre di una famiglia molto numerosa che le procurò non poche sofferenze, sembra concludersi.
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Informazioni personali
- leo zen
- Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)
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