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domenica 18 dicembre 2011

L'enigma svelato (Il lato oscuro della verità) 98

Giuda entrò, presentò il suo amico Davide, e mentre Afro conduceva le asine nella stalla, si fermò a guardare il giardino che appariva già in gran parte fiorito. Era uno splendore. Ne rimase estasiato perché mai l'aveva visto così bello nei brevi periodi che aveva trascorso a Damasco. Anche Davide convenne che il giardino e la casa erano molto belli.

“Qui passeremo il resto della nostra vita in santa pace”, fece Giuda con sollievo. “Qui non ci sono Messia e fanatici messianisti. La gente s'accontenta di adorare i soliti stronzi dèi che non sono per niente gelosi e iracondi come il nostro Jahvè. Qui c'è tolleranza non fanatismo e nessuno pretende di avere nelle vene sangue divino”.

"Finalmente sei tornato, padrone!" disse Afro con gli occhi ancor umidi per la commozione, appena ebbe sistemate le asine. Era molto grato a Giuda perché aveva comperato lui e la moglie da un padrone crudele, sotto il quale avevano sofferto le pene dell'inferno, e, per di più, con somma generosità, aveva subito concesso loro la libertà. Peccato che il loro unico figlio, Dianteo, fosse stato venduto prima del loro acquisto da parte di Giuda e fosse sparito senza lasciar tracce. Ma Giuda aveva promesso che lo avrebbe trovato e riportato a casa. Allora sì che la felicità sarebbe stata completa!

"Ti ho detto molte volte che non voglio essere chiamato padrone" disse Giuda con affetto. "Voi siete la mia famiglia, non i miei servi".
Intanto Berice stava dandosi alacremente da fare per preparare il bagno caldo e la cena.

"Quanto pensi di fermarti?" chiese Afro, abituato alle apparizioni molto brevi del padrone.

"Questa volta, per sempre" ripose Giuda con un mesto sorriso.
"Finalmente!" esclamò Afro con entusiasmo. "E così potrai anche dedicarti alla ricerca di mio figlio. Ogni giorno mi struggo dal desiderio di rivederlo".
"Lo troverò, lo troverò, te l'ho promesso. Sarà la prima cosa che farò appena mi sarò ripreso dal viaggio".

Mentre parlavano Davide ammirava con soddisfazione la casa. Era comoda, spaziosa e articolata in più parti. Quella che Giuda aveva riservato per sé comprendeva varie stanze tra le quali anche la copisteria di Mordekai e la biblioteca, che in parte aveva ereditato da lui. Era questa, per Giuda, la sancta sanctorum, la turris eburnea della sua casa. Quando vi entrava indossava la tunica più bella e i calzari più raffinati. Si sentiva un altro e smetteva di considerarsi un mortale.
Davide scoprì con meraviglia che la biblioteca di Giuda era molto più fornita di quella che aveva Mordekai a Cafarnao e si diede ad esaminare alcuni rotoli con vivo curiosità.

Afro, intuito il forte interesse del giovani per la biblioteca raccontò che, dopo la morte di Mordekai, quasi ogni giorno si presentavano alla porta di casa delle persone colte per chiedere di farsi copiare dei rotoli o per acquistare dei libri e se ne andavano amareggiate ricevendo un rifiuto. Ciò fece a Giuda una grande impressione.

"Hai fatto bene a mettermi al corrente di questa cosa" disse con interesse. "Mi hai fatto balenare l'idea di riaprire la copisteria. Già da domani ci occuperemo della faccenda. Andremo alla ricerca di un copista, anche se non sarà facile trovarlo. Così potremmo guadagnare qualcosa e arricchire la biblioteca, facendo una copia per noi di ogni opera che ci viene portata da copiare. Due piccioni con una fava, come dice il proverbio".

L'idea di dedicarsi ad un lavoro così nuovo e gratificante, e per di più anche molto remunerativo, riempì Giuda di entusiasmo. Anche Davide parve molto interessato alla cosa. La prospettiva di trascorrere molte ore del giorno a leggere opere così importanti e trascriverle gli parve meravigliosa.

"Ottima cena, Berice" disse Giuda soddisfatto. "Sono stato molto fortunato a trovare due brave persone come voi che accudiscono la casa in modo perfetto e sanno far ogni cosa nel migliore dei modi. Me lo diceva sempre anche Mordekai. Aveva per voi una grande stima e un affetto profondo".

"Sei sempre troppo buono e generoso" fece Berice con gli occhi umidi di commozione. "Da quando ci hai riscattati, ogni giorno, anzi, più volte al giorno, preghiamo la nostra dea prediletta Artemide perché ti protegga e ti favorisca. Ora che sappiamo che resterai a Damasco per sempre, ci sentiamo veramente felici".
"Ma lo sarete ancor di più quando ritroverò vostro figlio" fece Giuda. "Ho il presentimento che ciò avverrà presto. E poi, con la nuova attività che intendo intraprendere con Davide, ho bisogno di un giovane che ci dia una mano".

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)