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martedì 9 febbraio 2010

Altri esempi che dimostrano l'appartenenza degli apostoli alla setta degli zeloti (“L'invenzione del cristianesimo”) 24

Anche Giuda Iscariota, il presunto traditore di Gesù, viene considerato dagli studiosi uno zelota. Difatti, l'appellativo Iscariota (che deriva dall'ebraico ekariot, che significa sicario, e non da Keriot città della Giudea, mai esistita ma semplicemente inventata dalla Chiesa), veniva attribuito a quei ribelli più oltranzisti che eseguivano azioni di terrorismo anche in forma isolata.

Giuseppe Flavio li descrive così: “In Gerusalemme nacque una nuova forma di banditismo, quella dei così detti sicari (ekariots), che commettevano assassini in pieno giorno nel mezzo della città. Era specialmente in occasione delle feste che essi si mescolavano alla folla nascondendo sotto le vesti dei piccoli pugnali coi quali colpivano i loro avversari. Poi, quando questi cadevano, gli assassini si univano a coloro che esprimevano il loro orrore e recitavano così bene da essere creduti e quindi non riconoscibili” (Giuseppe Falvio, La Guerra Giudaica, op. cit. 1, 12).

In realtà, stando alle più antiche versioni del Vangelo di Marco (vedi il "Novum Testamentum" citato sopra), non solo questi ma tutti gli altri apostoli appartenevano alla cerchia degli zeloti, perché erano chiamati col nome di battaglia “Boanerghes”, cioè “figli del tuono” (Marco 3,17).

Ad ulteriore dimostrazione della natura violenta dei cosiddetti apostoli ricordiamo il comportamento dei due fratelli Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, (denominati dallo stesso Gesù “figli del tuono”), i quali nel Vangelo di Luca chiedono al Maestro il permesso di incendiare il villaggio dal quale erano stati respinti, (Luca 9,51-56), confermando, come ci tramanda Giuseppe Flavio, che gli zeloti non solo si accanivano contro i romani ma anche contro gli ebrei che non volevano collaborare con loro. (La Guerra giudaica, 2, 12 op. cit.).

A proposito dei figli di Zebedeo, appena citati, c'è un episodio raccontato dai Sinottici che mette in evidenza da un lato la loro smodata ambizione e dall'altra la loro certezza che il regno annunciato da Gesù non fosse l'aldilà, ma un regno puramente terreno. Scrive infatti Matteo: "Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli (Gesù) le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Dì che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno»" (Matteo 20,20-21). Secondo Marco (Marco 10,35-37) sono gli stessi Giacomo e Giovanni e non la loro madre a fare questa richiesta direttamente a Gesù.

Ad ulteriore prova dell'appartenenza degli apostoli al messianismo javista ricordo che l'apostolo Giacomo, detto il Maggiore, sotto il procuratore romano Tiberio Alessandro, fu arrestato nel 44, insieme all'apostolo Simone, e giustiziato di spada come sobillatore del popolo (Atti 12), e che l'altro Giacomo, detto il Minore, in tutti i documenti canonici chiamato fratello del Signore, secondo Eusebio di Cesarea e Giuseppe Flavio, fu lapidato nel 63, per ordine del sommo sacerdote, per aver "osannato pubblicamente al figlio di David", cioè a Gesù, che, quale Messia erede al trono d'Israele, avrebbe presto liberato la Palestina dall'invasione romana. (Eusebio, Storia Ecclesiastica, 2-23, op.cit.).

Le supposizioni di R. Eisenman ( James the brother of Jesus, Penguin book, London, 1997) che tutti gli apostoli erano zeloti, come abbiamo evidenziato sopra, gettano una luce inquietante sui discepoli di Gesù, vero covo di accesi messianisti e non di persone dedite alla non-violenza, alla fratellanza e alla salvezza spirituale dell'umanità. Quindi, si intuisce facilmente perché Gesù e il suo movimento fossero considerati una minaccia dai romani e dai giudei moderati, e perché costoro abbiano collaborato con Pilato per la sua condanna a morte.

I termini riferiti ai combattenti messianici erano in latino: Sicarii, Latrones e Galilaei; in greco: Zelotes e Lestes e in ebraico: Qanana e Bariona .(Novum Testamentum Grece et Latine, E. Nestle, Stuttgart, 1957)
Come attestano le fonti rabbiniche, quelli ebraici, di origine accadica, venivano utilizzati già prima di Gesù per designare un “terrorista” o un “partigiano”.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)