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domenica 7 febbraio 2010

"L'enigma svelato" (Il lato oscuro della verità).4^ puntata.

Ester, Cleofe e la figlia minore si diedero da fare per apprestare una cena coi fiocchi. Non vollero però coinvolgere Giuditta, che era rimasta appartata e silenziosa nell'angolo più tranquillo della casa. Ella, infatti, sentiva il bisogno di riflettere, di cercare di capire quanto le era accaduto in così breve tempo e le aveva cambiato radicalmente la vita.

In poche ore, da quando era tornata tranquilla e serena con la sua brocca in testa, in un rapido susseguirsi di avvenimenti, era stata violata, forse resa incinta, e diventata promessa sposa. La sua fanciullezza era irrimediabilmente finita; che lo volesse ammettere o no, ora era diventata donna. Desiderava ardentemente ricostruire l'accaduto ma sentiva di dover vincere una certa riluttanza per poterlo fare.

Infatti provava dentro di sé un vago sentimento di colpa, non tanto per l'amplesso in se stesso, quanto forse per averlo accettato e vissuto con un certo piacere. Il dover ammettere di essersi abbandonata troppo docilmente alla tenerezza suscitata in lei dai baci, dalle carezze e dalle mille effusioni, di cui il centurione era stato prodigo, le rendeva amaro il ricordo, in sé tenero e dolce, dell'amplesso.

Il centurione l'aveva circuita molto bene, usando un aramaico sciolto, dolce e suasivo. Le aveva parlato con accenti sinceri e con voce commossa della sua travagliata vita militare, della sua lontananza dalla famiglia e dalla terra d'origine, dell'amarezza che provava a vivere tra gente inospitale e spesso ostile; era riuscito ad ispirarle sentimenti di pietà e quasi d'affetto. In più aveva lodato con parole lusinghiere la sua bellezza, la sua grazia, la sua dolcezza. E poi, doveva ammetterlo sinceramente, le era apparso bello, bellissimo.

Solo raramente le era accaduto di vedere in paese qualche straniero dai capelli biondi e dagli occhi azzurri e sempre n'era rimasta colpita, specie nelle sue fantasticherie erotiche. Ma il giovane romano superava ogni aspettativa: era bello come un angelo. Ammetteva anche, con una punta di amarezza, di aver provato un intenso piacere durante l'amplesso e di conservare di esso un ricordo dolcissimo.

Immersa nelle sue riflessioni, Giuditta non si era resa conto del trascorrere del tempo e non si era accorta dell'arrivo di Isacco, sicché, quando la sorellina venne a chiamarla perché si mettesse a tavola, sembrò come ridestarsi da un sogno. Si sedette proprio di fronte al suo futuro sposo, e, vedendo il buon cibo preparato, sentì risvegliarsi l'appetito. Appariva un po' rasserenata e il suo volto cominciava a riprendere l'incarnato di sempre. Dopo la preghiera rituale e alcuni convenevoli d'obbligo, il discorso si incentrò sulle nozze imminenti.

Isacco parlava disinvolto, sicuro di sé, ma con gran pacatezza. Sembrava di buon umore perché aveva capito, in cuor suo, di aver preso una decisione saggia. Sposando Giuditta portava a casa la ragazza senz'altro più bella del villaggio, da lui segretamente molto desiderata. Se poi era rimasta quel giorno incinta, anche questo sarebbe stato per lui un affare. Dentro di sé, infatti, lo rodeva il dubbio che la sterilità della sua prima moglie Sara non dipendesse tanto da lei quanto da lui. Con Giuditta incinta, il problema era risolto. Se poi venivano altri figli, sarebbero stati la benedizione del Signore.

Parlando, si rivolgeva spesso a Giuditta con parole affettuose e gentili e lei, piano piano, cominciò a ravvivarsi e ad entrare nel discorso. Ebbe così modo di osservarlo bene. Nonostante la ventina d'anni che aveva più di lei, appariva ancora molto giovane. Era prestante e forte, molto ben curato nel vestiario e aveva il taglio della barba e dei capelli piuttosto raffinato. D'altronde poteva permetterselo perché era uno dei benestanti del villaggio. La sua bottega, infatti, lavorava anche per i ricchi mercanti del vicinato.

Con franchezza Isacco affrontò subito la probabile gravidanza di Giuditta. Spiegò che aveva trovato il modo per non dare adito a nessuna chiacchiera in paese. Se la cosa, infatti, fosse stata risaputa, le conseguenze sarebbero state molto negative per entrambi. I farisei, ligi osservanti della Legge, avrebbero gridato allo scandalo e portato il caso davanti al tribunale del Tempio. Avrebbero sicuramente fatto dichiarare il nascituro non appartenente al popolo ebraico. Quindi non bisognava dare adito ad alcun sospetto.

Il Signore, spiegò Isacco, aveva predisposto le cose in modo perfetto. Suo zio Zaccaria, rabbino di Efrem, che l'aveva allevato dopo la morte prematura di sua madre Rachele, da alcuni mesi lo stava sollecitando a recarsi da lui, per un certo tempo, a rifare tutto l'arredo della sinagoga da poco ristrutturata. Aveva ricevuto due grosse donazioni: una da parte del Tempio di Gerusalemme e l'altra da un ricco mercante del luogo. Con la prima aveva provveduto alla ristrutturazione edilizia del sacro edificio e con la seconda intendeva rinnovare tutto l'arredo interno.

Isacco non aveva ancora deciso se accettare o no l'offerta dello zio ma ora l'occasione si presentava propizia. Gli avrebbe comunicato subito la sua accettazione e avrebbe affrettato le nozze con la scusa della partenza imminente. A Efrem si sarebbe fermato a lungo, e lì un'eventuale nascita non avrebbe comportato problemi di data. Già in paese si conosceva la sua decisione perché, dopo il colloquio con Cleofe, aveva rifiutato, con rammarico, l'offerta di rinnovare tutti i serramenti della ricca casa del mercante Ezechiele ed altri lavori della gente del posto.

Queste prospettive furono accolte con sollievo da tutti, meno che da Lia che scoppiò in un pianto dirotto alla sola idea di perdere per un certo tempo la sorella. Al termine della cena si decise che, già all'indomani, si sarebbero recati dal rabbino a formalizzare il fidanzamento e a concertare la data delle nozze per poterle celebrare nel più breve tempo possibile.

Prima di accomiatarsi Isacco offrì a Giuditta, come pegno di nozze, una moneta, com'era costume del tempo, e un velo così bello e originale da suscitare ammirazione e stupore. Si trattava, infatti, di un tessuto in seta e lino, di color blu egiziano, mai visto in zona fino allora. Giuditta ringraziò commossa, accennando ad un mesto sorriso.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)