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domenica 21 febbraio 2010

L'enigma svelato (Il lato oscuro della verità) 6^ Puntata

Nel villaggio le due notizie: quella della cattura di Simone lo zelota nei pressi della casa dei Cleofe, senza che i romani facessero rappresaglia nei loro confronti, e dell'imminente nozze tra la figlia di Cleofe e Isacco il falegname, si diffusero quasi contemporaneamente e suscitarono in tutti sentimenti di gioia, perché entrambe le famiglie erano molto stimate e benvolute.

Si era concordato di celebrare le nozze entro una ventina di giorni, il tempo minimo per Isacco per ultimare e consegnare tutti i suoi lavori in corso. Si sarebbero celebrate nella casa dello sposo, che era situata dietro la bottega e che comprendeva anche un ampio cortile. Subito dopo le nozze, i due sposi sarebbero partiti per Efrem.

Il tempo passò in fretta e il giorno delle nozze arrivò così improvviso per Giuditta, che ancora non si sentiva pronta al gran passo. Non erano tanto le nozze in se stesse che la disturbavano; si rendeva sempre più conto che per lei erano l'unica ancora di salvezza; che l'amareggiava era l'idea di separarsi così bruscamente dalla sua famiglia e di allontanarsi, sia pure per breve tempo, dal suo ambiente.

Ma di fronte alla gioia della madre e all'esultanza del padre per come si erano messe le cose, anch'essa si sforzava di stare al gioco e di mostrarsi felice. Si faceva in quattro per consolare la sorellina, che non si rassegnava all'idea di perderla e la copriva di baci e di carezze.

Finalmente giunse la sera delle nozze. Nel cortile della casa di Isacco furono apparecchiate tre lunghe tavole, ciascuna agghindata con due candelabri e alcune ciotole di fiori profumati. Quella centrale era riservata agli sposi, al rabbino e ai parenti. Le altre due, di lato, ai convitati: una per le donne e l'altra per gli uomini.

I bambini potevano stare con chi volevano. Nello spazio che si apriva tra le tavole erano collocati quattro tripodi con giare d'acqua e di vino. Dovunque: sulle porte, sulle finestre e sui muri, pendevano ghirlande di fiori.
Quando gli ospiti si furono accomodati e cominciarono a risuonare canti e risa, vennero accese le candele dei candelabri e le torce appese ai muri e subito si diede inizio al banchetto.

Le ciotole si riempirono di pietanze gustose: pernici farcite, quaglie arrostite, petti d'anatra in salsa, agnello allo spiedo, il tutto accompagnato da insalate di cicoria e pane al miele. Alla fine giunsero dei datteri ripieni e pasticcerie diverse. Le coppe erano continuamente riempite di vino di Galilea puro o mescolato con acqua.

La festa si fece sempre più rumorosa e allegra col passare delle ore; le giare di vino si svuotavano rapidamente ed erano prontamente sostituite da altre. Alla fine del banchetto, a notte già inoltrata, il rabbino invitò Isacco e Giuditta ad avvicinarsi a lui e, nel silenzio generale, diede inizio alla celebrazione delle nozze. Giuditta, col volto leggermente purpureo per l'emozione, teneva lo sguardo rivolto a terra e pareva non accorgersi degli applausi e delle lodi degli astanti. Il suo atteggiamento riservato e pudico contrastava con quello di Isacco gioiosamente esultante.

Mentre un gruppo di giovani cantava l'inno delle nozze, secondo l'usanza fu gettata a terra una melagrana che si ruppe in più pezzi e furono versati acque lustrali e profumi. Poi, mentre gli sposi si stringevano la mano, il rabbino celebrò le nozze, recitando le formule di rito. Isacco e Giuditta furono dichiarati marito e moglie, tra la commozione generale e gli applausi dei presenti.

A cerimonia finita, tutti si avviarono verso casa. Isacco e Giuditta si intrattennero ancora un po' coi loro familiari e così Giuditta ebbe modo di abbracciare e riabbracciare, per la centesima volta, la sorellina sconsolata. Quindi si accomiatarono e si ritirarono.

Isacco, con molto tatto, fece comprendere a Giuditta che il loro rapporto coniugale avrebbe avuto inizio soltanto quando si fosse instaurata tra di loro quell'intimità che lo avesse reso spontaneo e desiderabile e, dopo averla affettuosamente baciata, la condusse nella stanza a lei riservata e si ritirò discretamente nella sua.
Giuditta rimase molto favorevolmente colpita dalla delicatezza e dalla riservatezza di Isacco; ne fu anzi molto grata e, in cuor suo, cominciò a stimarlo e ad amarlo.

Due giorno dopo, sul far dell'alba, Isacco e Giuditta partirono per Efrem. Per agevolare il lungo viaggio, reso faticoso dall'estate calda e afosa, avevano due asine che potevano di tanto in tanto cavalcare. A causa della frequente presenza di briganti, preferirono viaggiare lungo strade più lunghe ma più sicure e cercarono di unirsi a piccole carovane di mercanti. Di notte pernottavano in locande dove potevano non solo mangiare e dormire ma anche rifocillare le asine e rinfrescarsi con abbondanti abluzioni.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)