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domenica 6 giugno 2010

L'enigma svelato (Il lato oscuro della verità) 21^ Puntata

La famiglia di Davide rientrò a casa in un silenzio imbarazzante. Tutti, pur nutrendo un disprezzo sincero e assoluto per Gionata, avevano accolto con stupore e malessere l'intervento del loro congiunto e ne temevano le conseguenze. Anche se egli aveva detto delle cose più che giuste e umane, il pettegolezzo, non certo benevolo, della gente del villaggio sarebbe stato inevitabile. Ad aprire le ostilità, appena chiuso l'uscio di casa, fu Joses che temeva conseguenze negative per il lavoro.

"Non sapevamo di avere un profeta in famiglia", disse con sarcasmo. "Oggi siamo stati tutti coperti di ridicolo", continuò con ferocia, "e siamo diventati lo zimbello del villaggio. Domani mi vergognerò ad uscire di casa e, incontrando la gente per la strada, mi sentirò chiedere: Che altro combinerà oggi quel pazzo di tuo fratello?"

Davide non rispose. Aveva intuito che Joses lo avrebbe aspramente criticato per il suo operato. Rimase però amaramente sorpreso vedendo che nessuno, in famiglia, sentiva il dovere di dire una parola in sua difesa. Si senti come un reietto, ma il ricordo del vegliardo, che lo aveva incitato a parlare, venne subito in suo soccorso. Anche lo sguardo commosso del fratello Giacomo lo rincuorò.

Proprio in quell'istante entrò, senza bussare, Lia. Era euforica e raggiante. Corse subito ad abbracciare il nipote dicendogli: "Sei stato grande a sgonfiare quell'immondo caprone (si riferiva al volto di Gionata che richiamava quel villoso animale). Sono orgogliosa di te. Oggi mi hai fatto capire che razza di ipocriti infingardi abbiamo in questo villaggio e purtroppo anche nella tua famiglia. Che non voleva che tu intervenissi e che ora, a vedere questi musi che ti circondano, ti disapprova".

E volgendosi intorno, disse con profonda amarezza: "Lasciamo da parte Joses, che sappiamo chi è, ma tu Isacco e tu Giuditta dovreste essere orgogliosi di vostro figlio e non vergognarvene come sembrate fare ora. Ha mostrato di essere l'unico uomo del villaggio, l'unico capace di difendere gli oltraggiati e le donne". Poi, volgendosi di nuovo a Davide: "Ma come hai parlato bene!", aggiunse riabbracciandolo.

In quell'istante si sentì bussare alla porta.
"Che succede?" si chiese Isacco preoccupato. "Oggi è sabato e la gente non dovrebbe andare in giro per le strade".
Giacomo aprì ed entrò un uomo basso, tarchiato, sui trent'anni. Era imbarazzato, a causa evidentemente della sua visita inopportuna, in quel giorno particolare. Si scusò infatti del disturbo che stava arrecando di sabato e si presentò come Giuda, figlio di Simone. Isacco ricordò di averlo notato poco prima nella riunione della sinagoga.

"Sono un mercante di passaggio" disse quando si fu rinfrancato, "e sono venuto a ringraziare vostro figlio per aver avuto il coraggio di difendere la vedova Marta dagli insulti oltraggiosi di Gionata. Partirò domattina all'alba, ma non potevo andarmene prima di aver attuato questo proposito, perciò mi scuso ancora per essere dovuto venire adesso. Il defunto marito di Marta era un mio lontano parente e si è sempre comportato da uomo pio e giusto. Vedere ora la sua povera vedova trattata come un animale immondo, solo per aver steso quattro panni nel giorno di sabato, mi ha fatto rivoltare di rabbia. Sono pienamente d'accordo con vostro figlio, che la Legge va interpretata col cuore".

"Posso anche ammettere che mio fratello ha parlato bene" intervenne Joses con durezza, "ma le conseguenze del suo gesto insano le pagheremo noi della famiglia. Saremo coperti di disprezzo e forse ce ne rimetteremo anche sul lavoro. Se ci voleva bene doveva star zitto, come hanno fatto tutti, e impicciarsi solo degli affari suoi".

Giuda rimase interdetto a quest'uscita di Joses. S'aspettava che la famiglia fosse orgogliosa di Davide e scopriva, invece, con disappunto, che disapprovava il suo operato. Stava per intervenire in sua difesa, quando fu preceduto da Lia.
"Caro Giuda" disse rivolgendosi a lui, "non sprecare il tuo fiato a difendere Davide. Qui nessuno ti capirebbe. Sono troppo preoccupati del giudizio della gente. La quale, dentro di sé gli ha dato ragione e ha disprezzato quel caprone di fariseo, ma non vorrà mai ammetterlo come non vorrà mai ammettere di essersi comportata nella maniera più ignobile e vile".

"A noi interessa vivere in pace con tutti" riprese Joses, "e continuare nel nostro lavoro. Invece mio fratello ci mette in ridicolo e, per di più, in bottega fa anche il lavativo, sempre assorto com'è nei suoi alti pensieri".
"Forse ho abusato anche troppo della vostra ospitalità" intervenne Giuda a questo punto. "Prima però di andarmene vorrei fare una proposta, vista la situazione".
"Riguarda Davide?” chiese interessato Joses.
"Sì" rispose Giuda.
"Allora sentiamola. Sono tutto orecchi".

"Come vi ho detto prima, io sono un mercante. Finora ho lavorato da solo, ma avendo ultimamente ingrandito un po' il giro dei miei affari, sto prendendo in considerazione l'idea di assumere un garzone, a pagamento s'intende. Davide farebbe al mio caso: si presenta bene, riesce subito simpatico e sa parlare come si deve; tutte cose che in questo mestiere vanno benissimo. Naturalmente può provare per qualche mese, poi si vedrà".
"Magnifico!" esplose Joses in una grossa risata. "E potrebbe, durante il suo errabondare di qua e di là, dedicarsi pienamente ai suoi alti pensieri".
La proposta di Giuda suscitò sorpresa e sbalordimento. In un primo momento, tutti, fuorché Joses, erano contrari. Ma poi, ragionando pacatamente, le cose presero un'altra direzione. La prima a cambiare opinione fu Lia. Convenne, con gran realismo, che sia in famiglia che in paese, il nipote si era cacciato in una situazione un po' difficile.

Qualche mese d'assenza poteva calmare le acque. Davide, frastornato e anche un po' spaventato per quella singolare proposta che avrebbe cambiato radicalmente tutta la sua vita, da principio era decisamente per il no. Ma, ad un tratto, gli parve di sentire la voce del vegliardo che lo invitava ad accettare. Ruppe subito ogni indugio e decise che l'indomani mattina all'alba si sarebbe incamminato con Giuda sulla strada verso il mare.

Tutti, in cuor loro, erano tristi per la sua partenza, anche se ammettevano che, forse, quella era la soluzione migliore. L'unico a gioirne di cuore era Joses. Finalmente il fratello che tanto gli stava sul gozzo, si toglieva dai piedi.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)