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domenica 19 dicembre 2010

L'enigma svelato (Il lato oscuro della verità) 49

Più o meno si ricalcò il percorso fatto da Davide in precedenza, con pause notturne nelle stesse località fornite di pozzi. A mano a mano che si avvicinava ad Alessandria, Davide osservò, con sorpresa, che altri monumenti si erano aggiunti a quelli che egli già conosceva e che tutto appariva più bello e splendido. Ebbe modo inoltre di rilevare che la presenza romana si era fatta più capillare, garantendo ovunque ordine e sicurezza.

Alle porte della città la carovana si sciolse e i due amici si avviarono all'ingresso principale. Trovarono una folla così fitta che non riuscirono a procedere con le asine cariche e ingombranti. Era una babele di razze, di fogge e di lingue.

Ai molti visitatori, per lo più riccamente vestiti e con capelli e barbe tagliati in tutte le fogge, si aggiungevano sfilze di mercanti d'ogni età e colore che portavano panieri, giare, otri, animali e ogni altro ben di Dio. A questi si aggiungevano i molti schiavi che acquistavano le merci più svariate per i loro padroni. Era tutto un gridare, un mercanteggiare, un declamare le qualità della merce esposta.
Giuda, che mai aveva visto una simile marea di gente, fu preso dal panico e cominciò a sudare abbondantemente.

Allora Davide, che con sua meraviglia si era accorto di ricordare alla perfezione tutte le più importanti strade della città, entrò in una viuzza laterale, relativamente tranquilla, e si avviò verso una vecchia locanda di sua conoscenza. Scoprì con disappunto che nel frattempo si era trasformata in una specie di bordello ma a Giuda piacque molto e così decisero di fermarsi.
Sistemarono le asine e il carico, fecero un bagno, divorarono un pranzo abbondante e, dopo un breve riposino, rinfrancati e in forma, si avviarono ad esplorare la città.

Davide ricordava tutto alla perfezione e si muoveva con estrema sicurezza. Mostrò a Giuda alcune delle vie più belle e imponenti, ripromettendosi, l'indomani, di dedicarsi alla ricerca dei suoi vecchi amici.

Giuda era sbalordito e frastornato al tempo stesso. Diceva di continuo che Gerusalemme, al confronto, gli pareva un villaggio assonnato. Mai avrebbe immaginato tanta magnificenza. La grandiosità dei palazzi e la vastità della città gli incutevano un certo timore, ma con Davide si sentiva sicuro, non solo perché ricordava alla perfezione strade e lingua, ma anche perché sembrava a suo agio in ogni circostanza.

Lo infastidiva un po' la troppa licenza dei costumi, a causa soprattutto della sfrontata impudicizia di molte donne e della petulante spudoratezza degli efebi. Scitopoli, che egli spregiativamente chiamava la nuova Sodoma, al confronto gli sembrava una città di verginelle.
Vagabondarono per gran parte della notte perché le vie più importanti rimanevano illuminate a giorno fino all'alba. Rientrati nella locanda, nonostante la stanchezza, faticarono a prendere sonno a causa degli schiamazzi delle giovani meretrici e dei loro accompagnatori.

Si svegliarono che il sole si era già levato da un pezzo e, memori degli schiamazzi notturni sofferti, decisero di cambiare locanda. Ma la padrona, una grassa megera luccicante di collane, pendagli, braccialetti e anelli come una regina, dopo una profusione di scuse e di salamelecchi, li convinse a traslocare in una parte più silenziosa della casa.

Quindi Davide propose di recarsi nel quartiere ebraico alla ricerca dei suoi amici. Era molto emozionato all'idea di incontrarli e con la fantasia si sforzava di immaginare come si erano trasformati con il crescere dell'età. Era soprattutto l'idea di rivedere Nefer a suscitargli l'emozione più grande. Si sarebbe ricordata di lui? Lo avrebbe rivisto con piacere? Tutti interrogativi che lo avevano tormentato durante l'intero viaggio e che ora gli si presentavano più forti che mai.

Non impiegò molto a rintracciare la sua casa e il cortile in cui lui e i suoi amici avevano trascorso anni sereni e felici. Ma, con sua gran delusione, tutte le vecchie famiglie erano scomparse e quelle nuove non sapevano dove quelle precedenti si fossero trasferite.

Mentre con le lacrime agli occhi, si guardava intorno sconsolato, cercando almeno di imprimere nuovamente nella memoria quei luoghi a lui tanto cari, da una casa più interna e quasi nascosta, vide uscire una donna molto avanti negli anni che subito riconobbe come una vecchia amica di sua madre. La chiamò per nome e questa, dopo averlo guardato con attenzione per un po', lo riconobbe e lo abbracciò felice. Finalmente aveva trovato qualcuno cui chiedere delle informazioni.

Venne così a sapere che Nefer si era fatta bellissima e che viveva nella villa dello sceicco Ibrahim Ben Dorion, forse come una delle concubine del suo harem, e che la famiglia si era trasferita in una cittadina del delta del Nilo di cui non ricordava il nome. Che Nestore era diventato un importante ufficiale dell'esercito romano e viveva con la famiglia in Italia. E, infine, che Marcello faceva il segretario di un alto dignitario di Tebe.

Deluso e amareggiato per le notizie ricevute, Davide decise che, ad ogni costo, avrebbe almeno rivisto Nefer. Si rendeva conto che l'impresa era impossibile e che avrebbe comportato insormontabili pericoli, ma sentiva in cuor suo che doveva tentarla ugualmente.

Conosceva perfettamente l'ubicazione della villa e decise di far subito un sopralluogo. La ritrovò più grande di quanto se l'aspettasse, immersa in un parco enorme, disseminato di laghetti, ponticelli, aiuole, padiglioni, e circondata da un'alta e invalicabile cancellata, vigilata ovunque da guardie.
L'ingresso principale appariva impenetrabile, presidiato com'era da decine di nubiani armati. C'erano però degli ingressi secondari, più discreti e forse più accessibili.

Si avvicinò ad uno di essi per studiare la situazione e, mentre confabulava con Giuda sul modo di eludere la stretta sorveglianza, vide arrivare un giovane efebo che subito attaccò bottone con loro. Era lussuosamente vestito e aveva gli occhi, le guance e la bocca truccati in modo vistoso e volgare. Emanava anche un intenso profumo che dava quasi fastidio.
Si presentò col nome Elianteo e disse che aspettava che il capo degli eunuchi lo invitasse ad entrare. Spiegò che, nonostante i suoi modi effeminati, lui, nel rapporto sessuale, svolgeva con gran maestria il ruolo attivo e che era molto ricercato per questo.

S'informò del motivo della loro presenza e quando lo seppe ridacchiò rumorosamente, dicendo che erano completamente pazzi. Tentare di avvicinarsi all'harem d'lbrahim, disse divertito, equivaleva a voler essere gettati nello stagno dei coccodrilli per fungere da pasto a quei lucertoloni.

Comunque un modo per entrare c'era e lui lo conosceva. Lo aveva usato la prima volta per farsi conoscere dagli eunuchi e offrire i suoi servigi sessuali. Bastava aspettare che arrivasse uno dei vivandieri che rifornivano la villa e offrirsi di aiutarlo nel trasporto della merce. Avevano sempre molte ceste da scaricare e una mano poteva essere utile. Così sarebbero potuti arrivare fino ai magazzini vicini alle cucine. Poi però. . .. E ridacchiò più divertito che mai.

Davide ringraziò il giovane efebo e si allontanò con Giuda per rientrare nella locanda. Sarebbe ritornato il giorno dopo, di primo mattino, nel momento cioè in cui si effettuavano i rifornimenti. Ma sarebbe venuto da solo. Avrebbe accompagnato l'amico nel quartiere ebraico perché cominciasse a vendere un po' della sua merce.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)