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domenica 17 aprile 2011

L'enigma svelato (Il lato oscuro della verità) 64

L'indomani, alle prime luci dell'alba, dopo un semplice e commovente commiato dall'intera comunità che lo aveva ospitato per anni e nella quale aveva trascorso i momenti più intensi e sereni della sua vita, Davide s'avviò a piedi verso un'oasi vicina dove era atteso, in giornata, il passaggio di una carovana. Un cammelliere, frequente ospite della stessa comunità e da Davide conosciuto molto bene, gli avrebbe fatto da guida fino ai confini dell'Idumea da cui avrebbe proseguito per la Giudea.

La carovana - che come tutte le altre si presentava come una babele di fogge, di lingue e di razze - parve a Davide, dopo gli anni di solitudine trascorsi nel deserto, un po' troppo rumorosa e vivace, per cui, in un primo momento, preferì seguirla appartato da tutti, con brevi contatti col suo amico cammelliere.

Poi, specie durante il pasto serale e il riposo notturno, cominciò a familiarizzare con alcuni e, in particolar modo, con un ricco mercante che viaggiava con cinque cammelli carichi di spezie e che Davide giudicò, in un primo momento, d'origine greca per il suo fluido eloquio in quella lingua, salvo poi a scoprire che era un giudeo di Gerico di nome Fineas.

Costui, fin dalle prime parole che si scambiarono in aramaico, affermò, ridendo compiaciuto, che Davide era un galileo, dal suo inconfondibile accento, tipico di quella regione. Era un uomo alto e imponente, di parecchi anni più anziano di Davide, ma, nonostante l'età matura, traboccante d'energia e di vigore.

Col passare dei giorni si affezionò al giovane Davide e tra i due nacque una confidenza affettuosa. Il ricco mercante comprese subito che il suo nuovo amico era assente dalla Palestina da alcuni anni, ma per delicatezza non fece domande indiscrete sul motivo per il quale si trovava in quella carovana e in quella sperduta parte del mondo. Si diede piuttosto ad informarlo degli ultimi avvenimenti che riguardavano la Palestina.

Raccontò che Erode Antipa, tetrarca della Galilea e della Perea, quindi anche di Davide, nonostante si fosse dimostrato un sovrano, tutto sommato, abile e capace, stava scandalizzando l'intero mondo ebraico avendo sottratto al fratellastro Filippo, la bellissima moglie Erodiade, unendosi a lei in un matrimonio doppiamente incestuoso. Lei infatti si trovava ad essere, contemporaneamente, sua nipote di sangue ed ex-moglie (a quanto pare nemmeno ripudiata) del fratellastro di Antipa.

Sebbene il sommo sacerdote di Gerusalemme e l'aristocrazia sadducea del Tempio, per quieto vivere, non avessero condannato quell'unione doppiamente incestuosa, il popolo n'era furente. A farsi interprete del sentimento generale della nazione ebraica era da poco sorto un asceta, tutto fuoco e passione, di nome Giovanni, che viveva sulle rive del Giordano come un anacoreta, vestito di pelli e nutrendosi di cavallette e di miele selvatico.

Ogni giorno, questa specie di profeta si rivolgeva ai discepoli, che accorrevano sempre più numerosi da tutta la Palestina per ascoltare la sua severa parola, annunciando l'arrivo imminente del Regno di Dio e invitando tutti a praticare la penitenza e il perdono. Egli annunciava una grande ira incombente, che avrebbe prodotto terribili catastrofi. Soltanto chi avesse cambiato radicalmente la sua vita, praticando la penitenza e il perdono, si sarebbe salvato al cospetto del Signore.

Le sue parole infuocate, però, non si limitavano soltanto ad incitare tutti alla penitenza ma prendevano di mira i sacerdoti, i farisei, i dottori della Legge e soprattutto l'incestuoso Antipa. Il popolo era convinto che Giovanni fosse Elia redivivo o lo stesso Messia e gli dava ogni giorno più credito, ma l'aristocrazia sacerdotale, e soprattutto il tetrarca e la sua consorte Erodiade, erano furenti e avrebbero voluto farlo tacere a tutti i costi.

La popolarità di Giovanni però si era così saldamente radicata in pochi mesi che i suoi molti nemici non osavano metterlo a morte. Ma non era detto che prima i poi non ci sarebbero riusciti. Il racconto del mercante impressionò moltissimo Davide e subito si accese in lui il profondo desiderio di incontrare questo nuovo profeta. Sentiva che, in qualche modo, poteva essere collegato alla sua missione.

Cercò di ricavare altre notizie che si riferissero a Giovanni ma il mercante, che parlava per sentito dire e che era anche lui da qualche tempo assente dalla Giudea, poté aggiungere soltanto piccoli dettagli. Riferì che Giovanni era probabilmente di stirpe sacerdotale e proveniva da Ebron.

Non seppe dire se era appartenuto alla comunità essena di Qumran. Sapeva per certo che soltanto da pochi mesi la sua fama sia era rapidamente diffusa. Fineas completò le sue informazioni sulla Palestina parlando degli zeloti, sempre più violenti e sanguinari. Soprattutto in Galilea e nel Golan, vere centrali del dissenso contro Roma. Lo mise in guardai perché erano molto pericolosi.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)