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domenica 30 gennaio 2011

L'enigma svelato (Il lato oscuro della verità) 53

Anche Nefer volle raccontargli com'era arrivata nella casa di Kabila.
Non appena i suoi genitori, sempre in gravissime ristrettezze economiche, si erano resi conto che la figlia era diventata una ragazza molto piacente, si erano recati dal capo degli eunuchi della villa, incaricato di scegliere le concubine del padrone, per convincerlo ad assumerla, dietro un loro lauto compenso.

Nefer, decisamente contraria a essere rinchiusa per il resto della sua vita in un harem, anche se le veniva presentato come un luogo di delizie, durante l'incontro si era data alla fuga e, uscita nel parco, dopo essersi aggirata tra laghetti e giardini meravigliosi, era entrata furtivamente nella grande casa.

Mentre vagava piangendo tra le stanze, incontrò Kabila, la quale, colpita dalla sua grazia e dalla sua disperazione, decise all'istante di farla una sua ancella. Lo sceicco, conosciuto l'episodio, volle vedere la ragazza e, trovandola molto bella, cercò in tutti i modi d'averla per sé. Ma Kabila, che nel frattempo le si era molto affezionata e la considerava più un'amica e una confidente che un'ancella, si rifiutò di cedergliela a meno che non la avesse elevata al rango di moglie.

Trascorsero un paio d'ore piacevolissime e avrebbero continuato ancora per molto tempo la loro conversazione se non fossero stati interrotti da un domestico che annunciò la presenza, nella stanza accanto, del maestro di meditazione Ciù Quo.
Kabila volle subito presentarlo a Davide.

Appena si trovò al suo cospetto, egli scoppiò in un'allegra risata. Era uno dei tre personaggi strani, dal cranio rasato e dagli occhi a mandorla, che avevano viaggiato con lui nella carovana. Dopo una lunga serie d'inchini, in un egiziano molto stentato, il maestro di meditazione li pregò di seguirlo nel tempietto al piano terra per la sua consueta lezione.

Ciù Quo si sedette su di un cuscino di fianco alla statua di quella specie di Dio accovacciato, incrociò le gambe, mise le mani in grembo, chiuse gli occhi e s'immerse nei suoi pensieri. Intanto gli altri tre si sedettero come lui dalla parte opposta.

Kabila e Nefer sembravano completamente a loro agio. Davide, invece, era piuttosto ansioso di conoscere quello che stava per accadere. Dopo qualche minuto il maestro socchiuse gli occhi, che divennero una piccolissima fessura appena percepibile, e lentamente cominciò a parlare.

Disse che la presenza di un nuovo allievo lo costringeva a ripetere la prima lezione. Premise che la tecnica meditativa che lui insegnava prescindeva da ogni religione e quindi poteva essere praticata da chiunque. Passò poi a spiegare in poche parole la tecnica vera e propria: rilassarsi, socchiudere gli occhi, svuotare la mente con dolcezza e senza imposizione della volontà. Per aiutarsi a non pensare, osservare il proprio respiro a livello delle narici e lentamente sentirsi diventare soltanto respiro, fino ad annullarsi in esso. Rimanere così svuotati per almeno la durata di una clessidra. Concluse che al termine della seduta avrebbe aggiunto qualche altra considerazione.

Smise di parlare e capovolse la clessidra. Per circa mezz'ora, nel silenzio più assoluto, ognuno dei tre cercò di svuotare la mente come il maestro aveva insegnato, osservando il proprio respiro. Non fu facile, perché svuotare la mente è impossibile. Ma, a poco a poco, la fola dei pensieri cominciò a diradare e la mente a farsi vuota per la durata di pochi istanti per volta.

Comunque, un gran senso di quiete e di benessere pervase ognuno e se un osservatore estraneo avesse potuto osservarli, avrebbe visto i loro volti rilassati e leggermente sorridenti.

Al lieve battere delle palme del maestro i tre si riscossero e aprirono gli occhi. Erano visibilmente sereni e appagati dell'esperienza fatta ma il maestro Ciù Quo intervenne a smorzare il loro entusiasmo. Spiegò che, siccome i benefici spirituali e fisici della meditazione sono lenti da acquisire, non bisognava né esaltarsi di fronte alle prime sensazioni di appagamento, né preoccuparsi se solo di tanto in tanto si riusciva a raggiungere il vuoto totale. La ripetizione quotidiana di quell'importante esercizio avrebbe determinato un progressivo miglioramento, avvertibile fin dalle prime settimane.

Considerando Dio, in qualsiasi modo lo si voglia credere, come un'inesauribile fonte di luce, con la meditazione ci appropriamo ogni volta di una nuova scintilla di questa luce divina e, a poco a poco, ci riempiamo di essa, fino a raggiungere uno stadio di luce continua che ci porta alla completa consapevolezza della vita, alla visione diretta della realtà.

Il maestro concluse la lezione dicendo che altre importantissime spiegazioni sarebbero state da lui impartite, a poco a poco, al termine d'ogni seduta.
Kabila aveva osservato che Davide aveva vissuto con particolare interesse questa sua nuova esperienza e, avendo provato nei suoi confronti, fin da subito, un grande affetto, pensando di interpretare anche i sentimenti di Nefer, gli rivolse l'invito di fermarsi nella sua casa per il tempo necessario a completare il corso sulla meditazione.

A quelle parole, prima che l'interessato avesse modo di replicare, il maestro Ciù Quo intervenne spiegando che una delle facoltà che si possono acquisire con la meditazione, dopo lunghi anni d'applicazione continua sotto la guida di un maestro molto esperto, era quella di vedere e di leggere le aure delle persone.
Queste aure, invisibili all'occhio normale, si potevano grossolanamente definire dei profili colorati che circondano il corpo e che riflettono lo stato di salute dell'individuo, la sua dirittura morale e, soprattutto, il suo grado d'evoluzione e il suo progetto di vita.

Leggendo l'aura di Davide il maestro aveva capito molte cose importanti su di lui. Poteva solo dirne alcune. Che, nelle precedenti esistenze, aveva raggiunto un grado di evoluzione molto elevato; che aveva da svolgere un progetto di vita molto importante per l'evoluzione dell'umanità; che ancora non aveva superato l'amnesia che gli impediva di vedere il suo progetto di vita e che, per raggiungere questo scopo, doveva cimentarsi in molte nuove esperienze e non adagiarsi assolutamente nella comoda vita che gli offriva Kabila, se non per un brevissimo periodo.

Con una punta d'ironia spiegò anche che il destino, ma lui lo chiamò il Potere, aveva spinto Davide a desiderare di ritornare in Egitto con il pretesto di rivedere Nefer e i suoi amici. Ma in realtà quello era un falso scopo. Quello vero era di incontrarsi con la meditazione e con ciò che sarebbe scaturito da questa sua nuova esperienza. Il resto lo avrebbe detto a tu per tu al diretto interessato al momento opportuno.

Le parole del maestro Ciù Quo stupirono immensamente tutti, Davide compreso. Erano per lui la conferma di quello che gli aveva detto Mordekai.
Molto imbarazzato, teneva gli occhi bassi e non osava guardare le due donne. Le quali, peraltro, erano altrettanto imbarazzate di lui. Si erano rese perfettamente conto di essere alla presenza di un essere eccezionale, votato a un grande destino; cosa che, del resto, avevano confusamente intuito fin dal suo arrivo ma che ora riuscivano a cogliere con assoluta chiarezza.

Seguirono attimi di silenzio durante i quali nessuno osava parlare per primo. Finalmente Kabila, con un amabile sorriso sulle labbra, cavò tutti d'impaccio esclamando: "Erano giorni che sentivo qualcosa nell'aria, come il presentimento di un fatto importante. Ricordi, Nefer, che te n'avevo accennato più volte. L'arrivo improvviso di Ciù Quo, che avevamo invano atteso da molto tempo e che ormai disperavamo che avvenisse, sembrava aver realizzato questo presentimento. Ma in me c'era la vaga sensazione che qualcos'altro di imminente e di importante fosse sul punto d'arrivare e ciò mi riempiva di trepida attesa. La venuta, del tutto imprevista, di Davide sembra chiarire ogni cosa. Ora sono certa che ci troviamo di fronte ad un essere eccezionale al cui confronto le nostre vite sono ben poca cosa. Nonostante la mia elevata posizione sociale e la mia smisurata ricchezza mi sento un niente al suo cospetto".

"Tutto sbagliato", le rispose Davide, che nel frattempo aveva ripreso la sua consueta lucidità e sicurezza. "Tu non sei inferiore a nessuno per il semplice fatto che tutti siamo uguali come importanza, anche se diversi come individualità. Siamo tutti scintille divine, emanazioni della medesima divinità. Solo che dobbiamo arrivare a far risplendere la nostra scintilla con la stessa intensità dell'Essere Supremo, per ricongiungerci a lui. È questo lo scopo della vita, o meglio, delle nostre molte vite. Ma ricordati: siamo tutti uguali anche se diversi".

"Perfetto", disse Ciù Quo atteggiando il suo viso ad un enigmatico sorriso. "Hai parlato come l'Illuminato. Tutti uguali, tutti diversi, tutti scintille dell'Essere, partecipi della sua divinità, destinati, prima o poi, a ricongiungersi a lui nel Nirvana".

"Chi è l'Illuminato e cos'è il Nirvana ?", chiesero tutti e tre stupiti.
"Tempo al tempo", rispose Ciù Quo sempre più enigmatico. E, fatta una nuova serie d'inchini, si ritirò nella sua stanza privata.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)