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domenica 13 febbraio 2011

L'enigma svelato (Il lato oscuro della verità) 55

Quando si accomiatarono per il riposo notturno, Kabila espresse la sua gioia per aver trascorso una delle più belle giornate della sua vita.
Fu condotto nella sua camera, o meglio, nel suo appartamento perché si trattava di più stanze unite. Uno stuolo d'inservienti si prese cura della sua persona per spogliarlo, lavarlo, vestirlo per la notte e metterlo a letto. Quindi tutti uscirono per lasciarlo solo.

Ma una giovinetta, molto bella e dal portamento dolce e fine, di nome Kipa, si fermò in attesa di ulteriori disposizioni. Davide intuì vagamente di che si trattava ma volle che la fanciulla spiegasse meglio le sue mansioni. Con modi riservati e pudichi, lei spiegò che era a disposizione dell'ospite per ogni sua richiesta sessuale. Davide la ringraziò ma le fece capire che non sentiva il bisogno di prestazioni del genere e la invitò a ritirarsi.

Kipa fece un inchino e se ne andò dalla sua camera. Srotolò una stuoia per terra nella stanza accanto e vi si distese nell'attesa di eventuali ripensamenti dell'ospite.
Accortosi della cosa, non reggendo all'idea che la fanciulla passasse la notte in modo così disagiato, Davide la invitò ad entrare nel suo grande letto. Kipa accorse felice e si distese accanto a lui, in trepida attesa.

Commosso per la sua generosa disponibilità, egli la accarezzò teneramente a lungo, poi la strinse a sé e le chiese se veramente provasse il desiderio di unirsi a lui. Lei rispose che non le era mai accaduto di incontrare un giovane così bello e gentile e che desiderava intensamente farsi amare da lui. N'avrebbe tratto un immenso piacere. Tutte le altre volte era stata costretta ad accompagnarsi con uomini maturi e piuttosto scortesi.

Dopo un lungo e tenero amplesso con Kipa, la quale avrebbe continuato a baciarlo e ad accarezzarlo fino il mattino se non fosse stata invitata a riposare, Davide prontamente si abbandonò ad un profondo sonno ristoratore.

E subito gli apparve il vegliardo, con tale nitidezza da fargli dubitare di stare sognando. Gli spiegò che doveva adagiarsi, senza riserve, per alcuni giorni, in quella vita molle e lussuosa. Era un'esperienza a lui necessaria per fargli comprendere tutte le lusinghe della suprema ricchezza. Altre, significative esperienze future, gli avrebbero fatto conoscere l'infima povertà, la quasi totale indigenza. E lo avrebbero portato a diventare il difensore dei poveri, dei derelitti e degli umili. Gli disse ancora di ascoltare attentamente e di mettere in pratica i consigli del saggio Ciù Quo.

Nella seconda giornata Davide fu accompagnato da Nefer e da Kabila a visitare il gran parco che circondava la villa e che comprendeva giardini meravigliosi, abbelliti da grandi padiglioni variopinti, laghetti popolati di cigni e pavoni e uno stagno, tutto cintato, che si poteva ammirare soltanto dall'alto di un ponte arcuato, e che incuteva terrore a chiunque lo guardasse. In esso sguazzavano decine di feroci coccodrilli che drizzavano verso i visitatori le loro enormi fauci aperte, come un gesto di sfida.

Davide ricordò, rabbrividendo, le parole dell'efebo Elianteo che gli aveva pronosticato di finire in pasto a quegli animali se fosse penetrato clandestinamente nella villa. Venne a sapere infatti che a nutrire quei feroci lucertoloni erano destinati gli schiavi infedeli e chiunque altro si fosse macchiato di una grave infrazione.

La visita del parco durò alcune ore, che trascorsero piacevolissime.
Memore delle parole del vegliardo, Davide si abbandonò totalmente al piacere che provava a vivere in un ambiente di sogno, quasi irreale, in mezzo a meraviglie inconcepibile per uno come lui.

Il momento più bello della giornata fu quando il saggio Ciù Quo si presentò per la consueta meditazione. Li condusse in un boschetto dedicato alle Ninfe, fresco ed ombroso, ricco di acque zampillanti che creavano suoni sommessi come preghiere. Li fece accovacciare su dei cuscini e, dopo un breve discorso preparatorio, li invitò a socchiudere gli occhi, ad immergersi nell'osservazione del loro respiro e a vuotare la mente da ogni pensiero.

Questa volta l'impresa riuscì a Davide più facile. S'immerse così totalmente nell'osservazione del suo respiro da riuscire ad isolarsi, per periodi abbastanza lunghi, dall'ambiente circostante e da fermare in parte il flusso dei pensieri. Si sentì pervadere da una pace immensa e profonda e provò, per pochi attimi, la sensazione, mai provata prima, di perdere la sua identità e di sciogliersi nel nulla.

Il tempo volò così rapido che quando il maestro batté il palmo delle mani per indicare che la seduta era terminata, rimase dispiaciuto e incredulo e volle controllare la clessidra. Si rese conto di aver scoperto una cosa meravigliosa, che avrebbe trasformato la sua vita, ed espresse una profonda gratitudine a Ciù Quo per quanto gli stava insegnando.

"Il merito non è mio", rispose il maestro col suo sorriso enigmatico, "ma dell'Illuminato".E cominciò a raccontare, nel suo stentato egiziano, la vita di Buddha. I tre lo ascoltarono rapiti per più di un'ora, finché Ciù Quo, nonostante le loro proteste, dichiarò chiusa la seduta affermando che bisognava dare tempo al tempo e non forzare mai le cose.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)