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domenica 13 maggio 2012

L'enigma svelato. 117


All'indomani della visita di Paolo, Giuda, mentre s'aggirava per il Foro della città, incontrò Filippo, il capo dei cristiani giudei della città, il quale gli espresse la sua contrarietà per il proselitismo eccessivo di Paolo nei riguardi dei gentili timorati di Dio. Questi cristiani ellenisti, com'erano chiamati i pagani che credevano nella parusia, a che titolo potevano essere considerati membri della setta delle Via? Non erano ebrei, non erano circoncisi, non seguivano le regole della Legge, non avevano alcun legame con Gerusalemme. Erano perciò dei pagani che avevano accettato di credere soltanto nel ritorno imminente del Risorto. La vera e unica religione era l'ebraismo e la credenza nel ritorno del Risorto un completamento di esso, non una sua sostituzione o una nuova religione. Tutti i seguaci della Via giudei di Damasco e di Antiochia, che ora venivano chiamati anche cristiano-giudei, erano molto allarmanti per questa nuova situazione che minacciava l'ortodossia ebraica. Avevano perciò scritto lettere infuocate a Giacomo, fratello di Gesù e s'aspettavano da Gerusalemme una risposta.
Ma c'era dell'altro che preoccupava Filippo. I cristiani ellenisti, che risentivano fortemente dei culti misterici legati agli dèi soterici, come Eracle, Mitra e Adonis, avevano cominciato ad attribuire a Gesù uno status unico tra gli uomini, che gli conferiva un carattere quasi divino. Infatti cominciavano a chiamarlo con gli appellativi di "Nostro Signore Gesù Cristo", che riecheggiavano il Kyrios Dominus della Roma Imperiale. In parole povere stavano trasformando Gesù da Messia martirizzato nel figlio di Dio. E Paolo, lungi dallo scoraggiare questa profanazione, sembrava incoraggiarla.
A conferma di quanto gli era stato riferito da Filippo, giunse all'orecchio di Giuda che Paolo e Barnaba erano stati convocati urgentemente a Gerusalemme da Giacomo e dai capi della Via.
Giuda e Davide compresero che lo scontro tra cristiani ellenisti e cristiani giudei stava per scoppiare. Divennero subito ansiosi di conoscerne l'esito.
Non attesero molto perché Paolo, sempre in ottimi rapporti commerciali con Rufo, appena tornato da Gerusalemme, si precipitò a Damasco.
Giuda e Davide lo trovarono molto amareggiato.
"Nonostante Barnaba goda della massima stima da parte di Giacomo, di Cefa e degli altri, cosiddetti apostoli" esordì Paolo, appena li andò a trovare, "siamo stati accolti con grande freddezza. A tutti dava fastidio la conversione dei pagani. Alcuni vi si opponevano recisamente, convinti che il ritorno del Risorto riguardasse il solo popolo eletto e non i pagani peccatori. Altri erano disposti ad accoglierli ma con l'obbligo di farsi prima ebrei, abbracciando in toto la legge mosaica e subendo la circoncisione".
"Chi era il più contrario all'inserimento dei gentili?" chiese Davide.
"Soprattutto Giuda, detto Taddeo, altro fratello di Gesù. Cefa, invece, capeggiava il secondo gruppo, quello più disponibile".
"Alla fine, che cosa avete concluso?" chiese Giuda.
"È stato uno scontro duro e serrato. Io e Barnaba ci siamo resi subito conto dell'assurdità della cosa e abbiamo fatto osservare loro che già la legge ebraica è di difficile osservanza in Palestina, dove la maggior parte della popolazione è ebrea, e diventa quasi impossibile per gli ebrei della diaspora che vivono in mezzo ai gentili perché, tra le altre cose, impone il rispetto rigoroso del riposo del sabato, del tutto ignorato dai pagani e oggetto di scherno da parte loro, e prescrive norme alimentari e di purificazione di difficile attuazione al di fuori della Palestina. Se, per il pagano che vuole convertirsi, aggiungiamo a queste difficoltà anche l'obbligo della circoncisione, per di più in età adulta e con tutte le conseguenze che implica, non ultima l'umiliazione di una mutilazione che simboleggia una castrazione, appare evidente l'impossibilità per un gentile di convertirsi".
"Che cosa vi hanno risposto, i cosiddetti apostoli?"
"Che il cristianesimo non è una nuova religione, ma il completamento dell'ebraismo".
"Risposta ineccepibile per chi, come loro, sentono l'ebraismo come una religione tribale",fece Davide, allargando le braccia.
"Per evitare una rottura" riprese Paolo, "Giacomo ha mediato una soluzione di compromesso. Per il momento i pagani che abbracciano il cristianesimo devono soltanto rifuggire dalla fornicazione, cioè dal matrimonio tra consanguinei e dall'adulterio, e dal cibarsi di animali soffocati o sacrificati agli dèi. Ma rimane sottinteso che dopo la conversione, frequentando con assiduità le sinagoghe, apprenderanno gradatamente i dettami della Legge e l'abbracceranno infine facendosi circoncidere".
"Una bella fregatura" fece Giuda. "In questo modo nessun pagano accetterà di farsi cristiano".
"Che altro avete deciso a Gerusalemme?"
"Che appena i miei impegni di lavoro mi rendono disponibile, attui un secondo viaggio missionario in Asia per portare alla fede non tanto i pagani quanto i correligionari della diaspora".
"I quali non vorranno sentir parlare della parusia e di messianismo e ti lapideranno" ammise Davide. "Partirai per questo secondo viaggio?" chiese.
"Sapete bene che nelle mie visioni il Risorto mi invita a diffondere la fede del suo imminente ritorno e che le sue parole mi riempiono di un sacro ardore che mi porta a sfidare tutti i pericoli. Quindi partirò il più presto possibile ma non farò distinzione tra giudei e gentili".

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)