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domenica 27 maggio 2012

Peccato e Redenzione. Gli eccessi dell'ascetismo 76


Il disprezzo del corpo, «considerao un immondezzaio, qualcosa che ti fa schifo al solo pensarci» secondo Giovanni d’Avila, dottore e santo della Chiesa, era tale che innumerevoli monaci lo trascuravano completamente, lasciandolo denutrito, sporco e irsuto. San Francesco addirittura considerava come fratelli i pidocchi, compiacendosi di averne in grande abbondanza per il corpo.

Dalle cronache del tempo sappiamo che nel Medioevo tutti si lavavano poco, ma che gli asceti erano inavvicinabili per il fetore che emanavano. Non solo loro, ma anche i grandi ecclesiastici, non si lavavano mai per non toccare le loro parti intime, da loro dette le “pudenda”, durante il bagno, e cadere in tentazione. Santa Caterina da Siena insegnava, infatti, che i lavamenti del corpo non erano propri della sposa di Cristo (il quale, durante gli amplessi mistici, doveva forse turarsi il naso). Naturalmente usavano anche poco forbici e rasoi per cui avevano l'aspetto dei nostri barboni. Tanto erano puliti e curati i pagani antichi, tanto erano sporchi e irsuti i cristiani di tendenza ascetica.

Gli storici ci raccontano che, nei primi secoli del cristianesimo, molti monaci ed eremiti che vivevano in Siria e in Mesopotamia, erano nudi o vestiti di stacci e si nutrivano esclusivamente brucando l’erba, come ci racconta lo storico Sozomeno (Storia della Chiesa 7,15). Ma ci sono testimonianze di un ascetismo inimmaginabile che ci riempiono di orrore e di ribrezzo. Ecco alcuni esempi.

Santa Margherita Alacoque, vissuta nel XVII secolo, nella sua autobiografia ci narra che, per penitenza, beveva con somma sua delizia soltanto l’acqua usata nel lavaggio dei panni sporchi, mangiava pane ammuffito e non disdegnava le feci degli ammalati di diarrea. Fu fatta santa da papa Pio IX, forse come protettrice dei coprofagi. Un’altra santa, Sant’Angela di Foligno (XIII secolo) beveva l’acqua con la quale aveva lavato i lebbrosi. Santa Caterina da Genova (XVI secolo) leccava con la sua lingua la sporcizia dagli abiti dei poveri, inghiottendo sterco e pidocchi. Più che di asceti, qui siamo di fronte a degli psicotici demenziali.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)