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venerdì 11 maggio 2012

Terzo viaggio missionario di Paolo (“L'invenzione del cristianesimo”) 110


Poco dopo il suo rientro ad Antiochia, Paolo ripartì per un ulteriore viaggio in Asia e in Grecia e, secondo quanto aveva fatto in precedenza visitando le comunità cristiane da lui fondate per rinfrancarle nelle fede, si diede a raccogliere anche una colletta per i poveri della Chiesa di Gerusalemme. Ma la colletta gli sarebbe servita a pagare il prezzo del sacrificio, piuttosto cospicuo, della sua purificazione nel Tempio.

Scrive nella Lettera ai Romani: "Per il momento vado a Gerusalemme, a rendere un servizio a quella comunità; la Macedonia e l'Acaia infatti hanno voluto fare una colletta a favore dei poveri che sono nella comunità di Gerusalemme" (Romani 15,25). Come si vede, egli si guarda bene dal dire la verità sul suo viaggio a Gerusalemme ma non riesce a nascondere una certo preoccupazione sul suo esito: "Vi esorto perciò, fratelli, per il Signor nostro Gesù Cristo e l'amore dello Spirito, a lottare con me nelle preghiere che rivolgete per me a Dio, perché io sia liberato dagli infedele della Giudea e il mio servizio a Gerusalemme torni gradito a quella comunità, sicché io possa venire da voi nella gioia, se così vuole Dio, e riposarmi in mezzo a voi" (Romani 15,31-32).

Le sue preoccupazioni per i rischi di quel viaggio le troviamo chiaramente espresse negli Atti. "Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme, senza sapere cosa mi accadrà" (Atti 20,22).
Ma non sono soltanto i rischi del viaggio a turbarlo, c'è anche il timore che durante la sua assenza i suoi nemici, cioè gli emissari dei cristiano-giudei, attacchino la sua teologia e sconfessino il suo Vangelo come avevano fatto durante i suoi precedenti viaggi. "Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; perfino di mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse per attirare discepoli dietro di sé. Per questo vigilate" (Atti 20,29-31).

I discepoli, intuendo l'angoscia di Paolo, cercano di convincerlo a rinunciare alla partenza. "Avendo ritrovati i discepoli, rimanemmo colà una settimana, ed essi, mossi dallo Spirito, dicevano a Paolo di non andare a Gerusalemme" (Atti 21,4). Ma Paolo rispose: «Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a esser legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù» (Atti 21,13). Paolo, quindi, era ben deciso ad andarci perché aveva in mente un piano ben articolato, ma lo mascherava recitando il ruolo del martirio.

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Informazioni personali

Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)