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domenica 21 novembre 2010

L'enigma svelato (Il lato oscuro della verità) 45^

Raccontò che tutto era cominciato un secolo e mezzo prima, per opera di un gruppo di farisei uniti dal profondo disgusto che in loro suscitava il declino inarrestabile della Legge.

Per sfuggire alle persecuzioni d'Antioco Epifane, il tiranno ellenistico che dominava la Siria, costoro, chiamati Asidèi, si erano rifugiati nelle grotte del deserto, di fronte al Mar Morto. Tra loro emerse un capo carismatico, chiamato il Maestro di Giustizia, che si pose alla guida della comunità nascente e le diede regole severissime, imperniate sulla penitenza e la più scrupolosa osservanza della Legge.

Per merito suo lo sparuto gruppo degli Asidèi diventò in breve un grosso movimento religioso i cui seguaci, chiamati esseni, vale a dire i casti, perché non ammettevano il matrimonio e i rapporti carnali, scelsero di vivere nel deserto più ostile e inospitale della Giudea, quello di Qumran. Col passare del tempo la piccola comunità subì un'ulteriore evoluzione, nel senso di un accentuato irrigidimento.

Furono introdotte penitenze anche per colpe insignificanti, come, ad esempio, una preghiera distratta, un moto di stizza verso un fratello. Fu istituito un biennio di noviziato molto duro, durante il quale i maestri esigevano dai neofiti una dedizione totale e la rinuncia progressiva ad ogni bene personale. Fu introdotta la regola che tutti, fuorché gli anziani, dovevano a turno lavorare nei campi e nelle officine, come agricoltori, vasai, tessitori, carpentieri, scrivani e muratori, e servire i fratelli.

Queste furono in sintesi, le spiegazioni che Giovanni fornì, con un linguaggio appassionato e suasivo. Concluse con amarezza che tutti gli esseni, a causa della loro profonda onestà e religiosità e perché disprezzavano il Tempio, ritenuto un luogo di briganti e d'affaristi, e rifiutavano i sacrifici e la celebrazione della Pasqua, erano tuttora, come nel passato, molto odiati dal Sinedrio e dai Sacerdoti.

Davide ascoltò con la massima attenzione e senza mai interloquire il lungo discorso di Giovanni e, a mano a mano che il quadro della comunità essena si delineava davanti ai suoi occhi, si faceva sempre più chiaro in lui il concetto che si trovava di fronte ad una setta di fanatici estremisti, assolutamente convinti della natura malvagia del mondo e unicamente presi dall'osservanza ossessiva di prescrizioni esteriori, attribuite ad un Dio crudele e spietato.

Provò dentro di sé un'amarezza profonda e una gran pietà per il suo amico, ormai inaridito e incapace di provare amore per gli altri esseri umani e per tutto quanto Dio aveva creato sulla Terra. Ma non fece trapelare nulla di tutto ciò per non ferirlo inutilmente. Disse soltanto che si riservava di riflettere su quanto aveva appreso e di riferirgli, quanto prima, la sua decisione in merito alla proposta di entrare nella comunità.

Giuda aveva visto con sospetto l'improvviso incontro tra Giovanni e Davide e aveva intuito che i capi della comunità tentavano di accaparrarsi, ad ogni costo, il suo giovane amico. Temendo il peggio, al termine del colloquio si era affrettato a parlargli a quattrocchi. Con suo gran sollievo gli bastò una semplice frase, scambiata sottovoce, per capire che Davide non aveva abboccato.

Sollevato ma timoroso d'altre imboscate, decise di passare al contrattacco, e, dichiarandosi annoiato della vita monotona di Qumran, propose di ripartire l'indomani mattina.

Ma Davide riteneva opportuno prendere un po' di tempo, per non urtare troppo la suscettibilità di Giovanni, ed inoltre trovava molto riposante l'atmosfera che regnava a Qumran. Lì la pace era assoluta, il tempo sembrava essersi fermato e il resto del mondo svanito nel nulla. Peccato che c'erano gli esseni, malati irrimediabilmente di un fanatismo senza ritorno. Ma non lo infastidivano più di tanto, tutti presi com'erano dalle loro pignole e scrupolose liturgie quotidiane, dalle quali era totalmente escluso.

Li osservava con distacco, come uno scienziato studia il comportamento di una colonia d'insetti sociali. E intanto aveva modo e tempo di riflettere su di sé, su quanto gli era accaduto negli ultimi tempi, specialmente su Debora che lo aveva ferito nella carne e nel cuore, su Lia verso la quale sentiva un affetto diverso che lo turbava, sulle parole di Mordekai che gli prospettavano orizzonti inaspettati e, infine, sul vegliardo, del quale spesso avvertiva la presenza.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)