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domenica 18 marzo 2012

In nomine Domini 6


Il racconto di Curiazzo suscitò in tutti i presenti una fortissima emozione, nonostante fosse di dominio pubblico che i papi, in quel periodo travagliato da continue lotte interne, fossero spesso oggetto di assassinio e di deposizione forzata. Ad eleggerli infatti erano i nobili faziosi, in perenne lotta tra di loro e spesso dominati da donne perfide e di pessimi costumi. Era risaputo da tutti che Teodora Teofilatto, una specie di nuova Messalina, aveva portato al pontificato il suo amante papa Giovanni X, poi fatto strangolare da Marozia sua figlia, e che la stessa Marozia, dopo aver nominato due papunculi di comodo, aveva imposto come papa suo figlio Giovanni XI, ancora quasi giovinetto, avuto quando aveva sedici anni dal papa Sergio III, suo amante.

Alberico rientrò a notte inoltrata. Il racconto del sinodo cadaverico, di cui aveva sentito parlare in precedenza più volte, ma che mai aveva conosciuto nei dettagli, lo aveva inorridito. Ma l'avevano sconvolto ancor di più certe allusioni fatte da Curiazzo sul prete arruffapopolo che aveva profanato il cadavere di papa Formoso. Costui sarebbe diventato in seguito papa Sergio III. Alberico sapeva bene che questo papa era stato l'amante di sua madre Marozia, appena quindicenne, e il padre del suo fratellastro, papa Giovanni XI. Al lume di quanto era venuto a sapere, gli parvero ora assolutamente credibili i molti crimini che la vox populi attribuiva alla sua casata, e che egli aveva sempre stentato a credere veri.
Con questo stato d'animo rientrò in casa e subito fu colpito dal gran numero di guardie, armate fino ai denti, che stazionavano in tutti i piani del palazzo.
"Cosa sta succedendo?" si chiese perplesso. E si ricordò del trambusto che aveva notato nel tardo pomeriggio e delle risposte imbarazzate e reticenti dell'eunuco Pacomio.
Tentò di ottenere delle spiegazioni da alcune guardie che conosceva di vista, ma queste risposero che erano all'oscuro di tutto e si limitavano ad eseguire degli ordini. Alberico capì che mentivano spudoratamente e decise, nonostante l'ora tarda, di chiarire la cosa avvicinando la sorella Eudora, l'unico membro della famiglia con cui avesse rapporti affettuosi e sinceri. Si avviò alle sue stanze e bussò alla porta. Le guardie non intervennero ma la vecchia fantesca Prisca, di solito molto accondiscendente con lui, quando lo vide si rabbuiò e, manifestando un'insolita ostilità nei suoi confronti, cercò di impedirgli l'accesso alla camera della sorella, con il pretesto che la giovinetta dormiva profondamente. Ne nacque un piccolo alterco ed Eudora, svegliatasi, corse a vedere di che si trattava ed invitò il fratello ad entrare.
"Ho promesso alla mamma di non dirti niente", spiegò la sorellina. "Ma sai bene che con te non posso tenere segreti. Giovanni è qui".
"Cosa?" esclamò Alberico al colmo della sorpresa, "il nostro fratellino papa è tornato tra noi".
"Proprio così. Ma si fermerà solo alcuni giorni" spiegò la sorellina, "il tempo di scoprire la congiura. Non sognarti di andare a disturbarlo", aggiunse preoccupata, "mamma ti farebbe a pezzi".
"È venuto solo?"
"No, con un piccolo seguito: la favorita Terenzia, la governante Monica e l'eunuco Ursino, che gli fa da menestrello. Sai bene che nostro fratello soffre d'insonnia e che solo Ursino, coi suoi canti melodiosi, riesce a farlo dormire".
Mentre Alberico si accomiatava, dopo aver ringraziata la sorella, Prisca non riusciva a nascondere la sua disperazione per le rivelazioni fatte da Eudora.
La presenza in casa del fratello scatenò in Alberico un improvviso e forte desiderio di incontrarsi, o meglio di scontrarsi, con lui. Da quando Giovanni era diventato papa, non era mai riuscito ad avere con lui un colloquio a tu per tu, franco e sincero come desiderava da molto tempo e specie adesso che il terzo matrimonio della madre era imminente. Mamma Marozia, sempre possessiva nei confronti di Giovanni, lo aveva isolato dal resto della famiglia e consentiva ai suoi membri di incontrarlo solo in alcune occasioni ufficiali e del tutto formali. Ogni tentativo di Alberico di avvicinare il fratello in Laterano, per scongiurarlo di impedire il matrimonio della madre, si era sempre scontrato con ostacoli insuperabili.
Il rientro forzato del papa a palazzo Teofilatto avrebbe finalmente potuto consentirgli di avere con lui un incontro chiarificatore. Un'occasione davvero inaspettata e irripetibile che non avrebbe dovuto perdere assolutamente, nonostante l'ostilità della madre.
"Forse rischierò di venir rinchiuso, chissà per quanto tempo, a Castel Sant'Angelo", si disse Alberico, "ma stanotte devo assolutamente incontrare mio fratello papa".
Ma come? Questo era il problema.




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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)