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giovedì 15 marzo 2012

Peccato e redenzione. L'irruzione di Paolo di Tarso nella Chiesa cristiano-giudaica. 55


Con alacrità quasi febbrile Paolo  si diede quindi a creare la sua nuova teologia nell’intento di elaborare una religione che accogliesse, in un geniale sincretismo, le aspirazioni del mondo ebraico e di quello gentile, pur consapevole che ciò avrebbe determinato tra i due cristianesimi: quello giudaico degli apostoli e quello suo pagano-ellenistico, una frattura totale e irreversibile. 

Nella elaborazione della sua nuova teologia egli recepì la parte spirituale del messianismo, che si riprometteva di costruire uno Stato ideale nel quale gli uomini si amassero come fratelli, vigesse la povertà come scelta di vita e fosse eliminata l’arroganza della ricchezza, e ad esso aggiunse la figura di un Salvatore universale, che si incarnava ed immolava per donare all'uomo l'immortalità, facendolo risorgere dalla morte, come Osiride, Attis, Mitra e Dioniso - le divinità più amate dell’Oriente - sicuro di ottenere un enorme riscontro in milioni di persone, perché toccava le loro ansie più profonde e dava una risposta di salvezza al loro immaginario collettivo.

L'immortalità, intesa come beatitudine eterna, da sempre ignorata dagli ebrei, divenne per Paolo la vera salvezza del cristiano, attuata dalla redenzione di Cristo col sacrificio della Croce e confermata con la sua resurrezione. Se Cristo non fosse risorto, Paolo ribadisce più volte nelle sue Lettere, vana sarebbe la fede del cristiano.

Al tempo stesso, attratto dal fatto che ad Antiochia i cristiano-pagani cominciavano ad invocare Cristo con l’appellativo di Kyrios, cioè Signore in senso divino, iniziò quel processo di deificazione del Cristo che avrebbe lentamente trasformato Gesù, da Messia escatologico e apocalittico, in “Nostro Signore Gesù Cristo”, figlio di dio, incarnatosi per redimere l'umanità compromessa dal peccato di Adamo e portarla alla salvezza eterna.

A completamento della sua nuova teologia. Paolo inserì anche, con l’istituzione dell’eucaristia, la teofagia (cibarsi della carne e del sangue di un dio immolato), così profondamente sentita da tutto il mondo gentile, che vedeva in essa l’unione amorosa del dio salvifico con l’uomo.

Infine, volendo dare al suo neocristianesimo un rito che sostituisse la circoncisione, sancì l’istituzione del battesimo, già in uso presso i pagani come iniziazione ai misteri. Questo, in sintesi, il corpus paolino sul quale nasce gran parte del nostro cristianesimo, completamente diverso dal vecchio ebraismo.

Non elaborò il culto di Maria e la nascita verginale, che fu in gran parte opera dei suoi seguaci e dei Padri della Chiesa, i quali, per convalidare la deificazione di Cristo, si trovarono nella necessità di dargli un seme divino.

Infatti, nelle tredici Lettere a lui attribuite, che costituiscono il primo documento del Nuovo Testamento e precedono i Vangeli, Maria non viene mai nominata e di lei c’è solo un cenno indiretto, laddove dichiara Gesù “figlio di donna”. Se Paolo avesse conosciuto il mito della verginità di Maria, figuriamoci se non lo avrebbe strombazzato nelle sue Lettere.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)