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domenica 17 ottobre 2010

L'enigma svelato (Il lato oscuro della verità) 40^ Puntata

Giuda riprese ad esaminare la merce che lo interessava, come se niente fosse accaduto, ma sapeva bene che gli altri mercanti lo guardavano con un misto di paura e di riguardo. Gli iscarioti, cioè i sicari, erano allora i più temuti in tutta la Palestina. Alla fine comperò una grossa partita di papiri che era stata razziata da una carovana ed era giunta lì, per vie traverse, il giorno prima.

Karin lo rassicurò che la razzia era avvenuta a centinaia di leghe di distanza e quindi la refurtiva era assolutamente sicura. Aggiunse anche, come sovrappiù della merce acquistata, un grosso rotolo di pergamena che aveva in giacenza da molto tempo.

Tutti si rifiutavano di comprarlo perché era già scritto e perciò ritenuto non commerciabile. Giuda fu poco propenso ad accettare quel regalo che gli parve inutile ed ingombrante, ma Davide, lusingato dalla voglia di leggerlo, lo convinse a prenderlo, promettendo che avrebbe provveduto lui a venderlo, dopo la sua decifrazione.

Giuda uscì da quel covo di ladri convinto di aver concluso un ottimo affare perché sapeva a chi rifilare tutti quei rotoli. Poco lontano da quel luogo senza nome, sorgeva, in pieno deserto, la comunità degli esseni, insaziabili divoratori di papiri e pergamene. Da molti anni era lui a rifornirli e godeva per questo la loro massima fiducia e considerazione. Più rotoli portava, a prezzi scontatissimi, più erano felici di acquistarli. Sapendo che dagli esseni avrebbe trovato vitto e alloggio si diresse immediatamente a Qumran.

Appena si misero in marcia, ancor prima che Davide intavolasse il discorso, Giuda lo prevenne dicendo ironicamente: “Ora hai scoperto il mio scheletro nell'armadio. Sì, sono stato un iscariota, cioè un sicario. Per almeno tre anni ho combattuto nella banda di Simone, uno dei figli di Giuda il Galileo. Sono stati gli anni più terribili della mia vita. Quando Simone, che si atteggiava a Messia, è stato finalmente catturato dai romani e la sua banda si è dispersa, mi sono sentito l'uomo più felice di questo mondo avendo riacquistato la mia libertà”.

“E Manasse?”
“Era anche lui uno dei nostri. Ma più che combattere per la causa, gli interessava razziare per conto suo. Purtroppo erano molti a pensarla come lui”.
“Come combattevate?”
“Più che altro tendevamo agguati a romani singoli o a piccoli gruppi per eliminarli. Assaltavamo i depositi d'armi e i carri che portavano rifornimenti ai legionari.

"Talvolta facevamo rappresaglie contro chi collaborava con gli oppressori. Insomma ci comportavamo come una vera e propria banda armata. Simone si atteggiava a Messia come ho detto prima, cioè come al liberatore d'Israele, ma le gente comune lo temeva e viveva nel terrore perché oltre alle nostre angherie doveva subire le rappresaglie dei romani”.

“Come prevedi che andremo a finire?”
“Male, anzi malissimo finché avviene che ogni stronzo che si proclama Messia trova migliaia di teste calde che lo seguono tetragone. Sai quanti sono finiti in croce assieme a Giuda il Galileo? Ventimila. Non sono bastate le foreste del Libano a fornire tutte le travi necessarie per appenderli”.

Intanto, senza quasi accorgessene, erano entrati nel deserto, una sterminata distesa di sabbia di un intenso color ocra, cosparsa, qua e là, di aridi arbusti che in contro luce parevano neri fantasmi, e interrotta, di tanto in tanto, da basse colline rocciose, disseminate di caverne e anfratti paurosi.

Un leggero vento caldo soffiava dal sud rendendo l'aria, già pesante, ancor più insopportabile. La luce abbagliava la vista e creava, di tanto in tanto, strani miraggi all'orizzonte.Era un paesaggio di sublime desolazione e dava la sensazione di essere ai confini della terra, oltre ai quali non esisteva che il nulla.
Davide procedeva sgomento ed estasiata al tempo stesso.

Era la prima volta che, da grande, vedeva il deserto, e lo trovò sublime e terrificante. La solitudine gli penetrava nelle ossa, sembrava scioglierlo nel nulla e dilatarlo nel tutto. Ogni tanto si guardava i piedi che avanzavano lentamente sulla sabbia, per essere certo di esistere ancora materialmente.

Ad un certo punto apparve ai suoi occhi un mare di piombo fuso, immobile, come pietrificato. Sembrava un'immensa distesa di basalto. Era il Mar Morto. Nessun nome si prestava più di questo a descrivere una realtà così assurda, al limite dell'irreale.

Poi, all'improvviso, ecco apparire in lontananza, come per miracolo, un paesaggio incredibile che Davide scambiò subito per un miraggio: una piccola pianura formata di terreni coltivati con cura che apparivano come strisce verdi e brune di svariate sfumature. In mezzo a quella specie di giardino si ergeva un grosso edificio, sovrastato da una torre imponente e circondato da tante piccole costruzioni.

"Qumran!" esclamò Giuda, come risvegliandosi da un lungo torpore.
Continuando ad avanzare, cominciarono a scorgere degli uomini, vestiti di corte tuniche bianche, che lavoravano la terra curvi e silenziosi. Si erano subito accorti della loro presenza ma non vi avevano prestato attenzione.

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)