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domenica 29 aprile 2012

In nomine Domini 12


"Parlami di questi antichi filosofi", chiese il giovane mostrando vivo interesse alla cosa.
"La sintesi del loro pensiero, riguardo alla religione, è semplicissima: la religione è un'illusione fittizia creata da saggi legislatori per incutere negli uomini il necessario rispetto per lo Stato e le sue leggi. Quindi è nata per esclusivi scopi politici. I primi a formulare questa teoria sono stati i filosofi greci Evemero e Crizia; successivamente essa è stata elaborata da molti altri, in particolare da Cicerone nel suo trattato De natura deorum e da Lucrezio nel suo poema De rerum Natura. Lucrezio definisce la religione una pia fraus.
"In un frammento del filosofo greco Crizia, viene spiegata la nascita della religione ricostruendo i tre stadi della storia dell'umanità: lo stadio primitivo di barbarie naturale in cui gli uomini vivevano in uno stato totale di anarchia e di atroci contese; lo stadio dell'introduzione delle leggi imposte con la coercizione, rivelatesi però incapaci di instaurare la giustizia perfetta, poiché i delitti nascosti restavano impuniti; infine, l'invenzione della religione che con l'idea dell'onniscienza divina cui nulla sfugge, prevedendo un premio per i virtuosi e un castigo per gli empi, metteva un freno ai crimini occulti e conferiva nuova autorità alle leggi. L'effetto benefico della religione prevedeva però che rimanesse segreta la sua funzione fittizia, cioè la sua falsità; solo così il popolo era indotto a obbedire alle leggi e a sopportare lo Stato. Per rendere accettabile e soprattutto credibile la religione, i grandi legislatori come Minosse, Mosè e Licurgo dovettero quindi ricorrere alla rivelazione divina, dovettero cioè fingere di aver ricevuto la loro dottrina direttamente da un dio, facendo riferimento ad una particolare divinità: Giove, Jahvè, Apollo e così via. Ecco perché Mosè salì per quaranta giorni sul monte Sinai da solo, e quindi senza testimoni che avrebbero potuto smentirlo, a scolpire le sue famose tavole della legge, e presentarle al suo popolo come scritte direttamente dal dito di dio. Quindi anche Mosè seguì il principio di inventarsi un dio quale autore della sua opera legislativa, facendolo ritenere la fonte sovrumana dell'autorità della legge.
"I requisiti fondamentali della religione rivelata, non spiegabili a livello razionale, furono: una fede cieca; una ferrea disciplina morale che prevedesse un premio per i virtuosi e un castigo per gli empi e, infine, una pletora di rutilanti cerimonie e di riti simbolici e magici, da celebrarsi in templi maestosi, abbelliti da variopinte immagini sacre, allo scopo di ottenere la fascinazione dei sensi e indurre morbosi stati di misticismo. Concludendo e volendo parafrasare la Bibbia: non è dio che ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza ma, all'incontrario, è l'uomo che ha creato dio guardando se stesso. Scriveva infatti Democrito, alcuni secoli prima di Cristo: se i buoi volessero raffigurare Giove, come lo rappresenterebbero? È chiaro: con le corna e la coda".
"Teoria affascinante e catastrofica insieme", esclamò Alberico sconsolato. "Insomma", riprese poi con una certa animosità, "che cos'è che ha valore per te?"
"Oh, finalmente la domanda che mi aspettavo!", fece Ascanio con sollievo. "Ogni uomo, consapevolmente o inconsapevolmente, persegue un fine. Farò qualche esempio. C'è chi smania per la brama di potere e non indietreggia di fronte a nessun crimine per raggiungerlo: re Ugo e tua madre ne sono l'esempio. C'è chi, come il monaco Teocrazio, detto da tutti Crapula, persegue il piacere più smodato, abbassandosi al livello di un bruto per soddisfare i suoi più immondi istinti. C'è chi, al contrario, come il monaco Sulpicio, persegue con ossessione la santità: preghiere, digiuni, cilicio, continua mortificazione dei sensi e pensiero fisso e maniacale su dio. Io non aspiro a nessuna di queste cose e men che meno alla santità; tra Teocrazio e Sulpicio preferisco Teocrazio; almeno lui, a modo suo, qualcosa riesce ad afferrare della vita e a dare inizio ad una probabile conoscenza. Sulpicio, invece, vive in un mondo ossessivo, chiuso, prigioniero di se stesso, estraneo a tutto e a tutti e quindi morto ad ogni possibile evoluzione".
"E il tuo fine?", chiese Alberico con una sottile punta d'ironia.
"È il più arduo di tutti. Sono convinto che il destino dell'uomo sia quello di imparare e di conoscere, anche se non perverrà mai a capire tutto quello che lo circonda. Quindi io perseguo la conoscenza. Non però quella che si ricava soltanto dai libri. Oddio, essi possono senz'altro dare un grande contributo allo scopo, specie quelli, come i libri dei filosofi, che trasmettono la conoscenza che gli altri hanno faticosamente raggiunto. Ma la conoscenza che io intendo la si ottiene soprattutto riflettendo su tutte le esperienze che la vita ci offre, anche quelle negative, peccaminose e crudeli. Possiamo chiamarla anche con altro nome: evoluzione interiore. Con essa otteniamo una verità provvisoria, piccola, limitata. L'unica possibile per noi umani e diversa in ciascuno di noi. La verità assoluta non fa parte dell'uomo terrestre. L'aldilà non è il paradiso o l'inferno, come predica la religione, ma il luogo in cui proseguiremo l'arricchimento della nostra conoscenza, della nostra evoluzione. Quindi la mia non è una religione ma una filosofia".
"Ora mi rendo conto perché hai sempre rifiutato la carica di vescovo che papa Giovanni X voleva conferirti", esclamò il giovane annuendo con la testa.
"Non avrei mai potuto svolgere un incarico in cui non credevo, anche se avrebbe comportato per me prestigio, potere e ricchezza. Il diaconato, ricevuto ancor molto giovane, quando non avevo maturato la mia attuale filosofia, me lo sono dovuto tenere, ma l'ho considerato soltanto, e lo considero tuttora, un espediente per svolgere la mia attività intellettuale e curiale. Ma torniamo a te. Mi avevi detto che volevi estorcermi una promessa. Di che si tratta?"

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Leo Zen vive in una cittadina del Veneto di forte tradizione cattolica e usa uno pseudonimo volendo evitare possibili disagi dal momento che scrive opere rigorose e documentate ma fortemente dissacratorie e in controtendenza. Finora ha pubblicato tre saggi: L'INVENZIONE DEL CRISTIANESIMO (Editrice Clinamen – Firenze – 2003 – 3^ed.), IL FALSO JAHVE' (Edizioni Clinamen – Firenze – 2007), LA “MALA” RELIGIONE (Editrice Uni- Service – Trento - 2009) e il romanzo storico IN NOMINE DOMINI (Prospettiva editrice – Civitavecchia - 2008)